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Pensieri dal carcere

Autori: Pierre Clémenti

Casa Editrice: Il Sirente
Anno pubblicazione: /
Prezzo: 12,50
Genere: Storia vera

«Qualcosa di più che un diario o un’autobiografia,
un vero racconto del carcere ma soprattutto dei meccanismi che lo strutturano».
Cristina Piccino, Alias

«Oltre che con il regista spagnolo, Pierre Clémenti aveva lavorato con Bertolucci e Pasolini. Viveva in italia da antidivo. Ma un giorno, come raccontò in un libro ora ripubblicato, fini a Regina Coeli per droga. Uscì un anno e mezzo dopo. Ma mai davvero».
Marco Cicala, Il Venerdì di Repubblica

Ho visto cose terribili a Regina Coeli. E uomini sublimi.

Il mattino del 24 luglio 1971 suonano all’appartamento romano di un’amica di Pierre Clémenti dove l’attore risiede. Suo figlio Balthazar, di cinque anni, apre la porta. È la polizia in borghese che viene a fare una perquisizione, ben sapendo quel che sta cercando: pochi grammi di cocaina e qualche briciola di haschisch. (Suo figlio dirà poi che era stata la polizia stessa a nascondere la cocaina sotto al letto dicendogli: «Non è nulla, riaddormentati»). Tutto porta a credere che il potere voglia creare un esempio clamoroso. L’arresto di Pierre Clémenti, star del cinema e al contempo icona della controcultura, fa grande scalpore. L’attore viene rinchiuso nella prigione di Regina Coeli sulla base di semplici sospetti, mentre nega di essere stato a conoscenza della presenza della droga nell’appartamento. Aspetterà otto mesi prima di essere giudicato. Condannato a due anni di reclusione, ottiene l’archiviazione in appello dopo diciotto mesi di detenzione. Pierre Clémenti ne uscirà segnato a vita. Il suo libro è una testimonianza contro il codice penale italiano risalente al fascismo, contro il regime carcerario e la società repressiva, perché nelle celle ci sia più luce e umanità. [Balthazar Clémenti].

Il Sirente presenta Pensieri dal carcere, dell’attore e regista francese Pierre Clémenti.
«La giustizia è lenta ed estenuante, e l’innocenza, se anche provata, soltanto ferita uscirà di prigione».
Pubblicato per la prima volta nel 1973 e apparso nuovamente nel 2005 presso le edizioni Gallimard, il libro di Pierre Clémenti ripercorre attraverso riflessioni e flash narrativi l’esperienza carceraria dell’attore e regista: l’arresto, l’arrivo nel carcere di Rebibbia e poi in quello di Regina Coeli, l’incontro con l’umanità repressa e dimenticata, la cruda realtà delle rivolte e delle rappresaglie, l’annullamento spirituale ancor prima che fisico, l’ipocrisia del ceto dirigente italiano, il processo fino all’assoluzione definitiva che suonerà paradossalmente come una condanna.

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«O ti vendi e ti svuoti molto rapidamente, o resti ai margini e ti batti per le tue idee».
Pensieri dal carcere non è però solo un libro sul sistema carcerario, in esso Clémenti racconta anche la sua esperienza di attore: dall’incontro con Jean-Pierre Kalfon alle prime esperienze teatrali accanto a Marc’O e Bulle Ogier, dagli esordi cinematografici ne Il gattopardo di Luchino Visconti al rifiuto delle proposte di Federico Fellini fino alla consacrazione in film di registi del calibro di Bernardo Bertolucci e Luis Buñuel. Clémenti traccia attraverso il cinema, “arte della sopravvivenza”, un’idea dell’arte come missione, inconciliabile con le «attrattive» dell’industria dello spettacolo, «prigione dorata», «macchina che produce gli idoli e li getta sul mercato».

L’autore. Figlio di padre ingnoto e madre còrsa, Pierre Clémenti nasce a Parigi il 28 settembre 1942. Attore e regista, ribelle e anticonformista, esordisce nel teatro off parigino. Il suo ruolo in Bella di giorno di Luis Buñuel lo porta alla notorietà e lo lancia nel mondo del cinema sia francese che italiano. Gli anni tra il 1967 e il 1971 sono i più proficui della sua carriera cinematografica: tra i film a cui partecipa, Partner (1968) e Il Conformista (1970) di Bernardo Bertolucci, I Cannibali di Liliana Cavani (1969), Porcile di Pier Paolo Pasolini (1969), Bella di giorno (1967) e La via lattea di Luis Buñuel (1970), Le lit de la vierge (1969) e La cicatrice intérieure (1971) di Philippe Garrel, Cutting heads di Glauber Rocha (1970). Clémenti, attraverso i suoi personaggi, esprime anni di profondo cambiamento socioculturale e di grande rinnovamento linguistico della scena cinematografica italiana e francese. Parallelamente alla sua passione per la recitazione Clémenti si cimenta anche nella realizzazione di cortometraggi sperimentali: La révolution… (1968), Visa de censure (1967-75), New Old (1978), A l’ombre de la canaille bleu (1978-85), Soleil (1988).
Nell’estate del 1971 viene arrestato per detenzione di droga e incarcerato per più di un anno nelle prigioni di Rebibbia e di Regina Coeli a Roma. Rilasciato per insufficienza di prove, non potrà più far ritorno in Italia. In seguito a questa esperienza scriverà il libro Quelques messages personnels. Pierre Clémenti muore il 27 dicembre 1999 all’età di 57 anni.

Il volume contiene un saggio di Danilo Zolo su Filosofia della pena e istituzioni penitenziarie. Danilo Zolo è esperto di questioni carcerarie e professore di Filosofia del diritto e di Filosofia del diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze.

Autore: admin

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  1. Luglio 1971. In Italia per lavoro, Pierre Clémenti – attore anticonformista francese di successo – è arrestato nel suo domicilio romano con l’accusa di detenzione di stupefacenti. Passerà diciotto mesi in carcere, tra Rebibbia e Regina Coeli, in attesa del processo, fino alla sentenza in appello che finalmente lo scagionerà per insufficienza di prove. Scritto di ritorno da quest’esperienza – allontanato dall’Italia, dove non potrà più far ritorno, in quanto ospite non gradito – Pensieri dal carcere (titolo originale Quelques messages personnels) costituisce il racconto per flash e note riflessive di un lungo percorso di privazione fisica e psicologica, della realtà carceraria di quegli anni e dell’umanità castrata che la popola. Queste note si intrecciano con ricordi dell’esperienza teatrale e cinematografica dell’attore, dagli esordi a fianco di Jean-Pierre Kalfon, Marc ‘O e Bulle Ogier alla consacrazione con Luis Buñuel. Ricordi che delineano la concezione artistica di Clémenti, dove teatro e cinema sono arte della sopravvivenza e della libertà.

  2. di Marco Cicala (da Il Venerdì di Repubblica, 21/12/2007)

    Così l’angelo nero di Buñuel a Roma scrisse le sue prigioni

    Oltre che con il regista spagnolo, Pierre Clémenti aveva lavorato con Bertolucci e Pasolini. Viveva in Italia da antidivo. Ma un giorno, come raccontò in un libro ora ripubblicato, finì a Regina Coeli per droga. Uscì un anno e mezzo dopo. Ma mai davvero.

    SPESSO LE ROGNE arrivano la mattina presto. Come gli uffici giudiziari. O quelli del recupero crediti. O gli sbirri. Che il 24 luglio del 1971 irrompevano nell’abitazione romana dell’attore Pierre Clémenti e, dopo perquisizione, se lo portavano via in manette. Insieme a pochi grammi di cocaina e qualche briciola di hashish trovati, pare, nell’appartamento. È il primo atto di una vicenda non metaforicamente kafkiana che durerà diciotto mesi. Tanti ne passò in galera l’attore-icona della controcultura, faccia d’angelo ribelle che conquistò Buñuel, Bertolucci, Pasolini.
    Due anni dopo la scarcerazione e il ritorno coatto in Francia, Pierre Clémenti raccontò quell’esperienza in un piccolo libro, Quelques messages personnels, che adesso viene ripubblicato in italiano col titolo Pensieri dal carcere. Lacerante resoconto autobiografico-esistenziale, riflessione sul sistema penitenziario, ma anche involontario spaccato di un’Italia, quella dei primissimi 70, formicolante di beatniks e neofascisti, livori proletari e paranoie perbeniste, vecchi malavitosi artigianali e nuovi faccendieri all’avanguardia.
    Nel ’71 viene svelato il tentato golpe Borghese, s’infiammano i tumulti missini a Reggio Calabria, nasce il quotidiano il manifesto, scoppia lo scandalo degli appalti Anas (una paleo tangentopoli), Cefis espugna i vertici della Montedison, entra in vigore l’Iva, Giovanni Leone è eletto presidente della Repubblica anche grazie ai voti del Msi. Annota Clémenti, candidamente: «Avevo letto da qualche parte che Giovanni Leone, il presidente della Repubblica italiana, era stato avvocato, e mi dicevo: ecco uno che ha potere e conosce la realtà delle carceri. Farà qualcosa…». E invece, imputato si alzi: «Ai sensi della legge numero… lei è accusato di detenzione e uso di stupefacenti, avendo il rapporto di polizia stabilito…». Due anni di reclusione.
    Clémenti ama l’Italia «pasoliniana» dei bulletti fragili e spavaldi, delle mamme arcaiche, dei terroni inurbati, delle mogli generose ma vendicative («Sanno bene che qualche volta l’uomo va con una puttana. Ma poi torna. E, se non torna, strappano ciò che difendevano. Impazziscono. Nelle carceri italiane ci sono centinaia di Medee». Ama quanto resta della savia e scollacciata plebe capitolina, quella che per secoli ha cantato il carcerato come un eroe a metà tra Virgilio e Gioacchino Belli («Dal cortile della prigione si scorge una terrazza della città dove ogni sabato le mogli, le fidanzate e le puttane dei detenuti vengono a mostrarsi nude, portando loro un po’ di consolazione»). Ama queste scorie di un’umanità in via di sparizione. E, da dietro le sbarre, gli piacciono ancora di più. Regina Coeli è Roma: «Per quanto spesse ne siano le mura… Essa è attraversata dalla vita della città, dai suoi rumori, dai suoi odori e persino dalle sue visioni».
    Ma più toccante è forse la rievocazione dell’universo giudiziario di quegli anni. Immaginatevi una specie di Rimbaud-hippie finito da Parigi dentro un’aula di tribunale romano nel ’71: un suk togato fatto di avvocaticci paraculi col ghigno di Vittorio Gassman, giudici col cipiglio di Gino Cervi rimasti lì dal Ventennio, carabinieri coi baffi di Tiberio Murgia o Vittorio De Sica.
    De Sica che, insieme a Fellini, andò a deporre in difesa di Clémenti. Ma niente da fare. Perché il bel Pierre è un tipo strano, troppo strano per un posto come Roma che, malgrado l’atavica noncuranza, resta pur sempre un paesone. Dove la gente mormora. I vicini protestano. Nella casa in cui abita Clémenti fa festa fino all’alba. Si incrociano ragazze nude sul pianerottolo. Grida d’amore risuonano. Poco importa se l’imputato si proclami innocente, occasionale fumatore di hashish ma contrario alle droghe («Non sono un viaggio ma una prigione»): Clémenti Pierre, «nato il 28 settembre 1942 a Parigi, XIV arrondissement, alle sei del mattino» da padre ignoto e madre portiera, ha capelli lunghi e barba, personalità e condotta che «dimostrano una predisposizione fisica e psicologica alla detenzione e al consumo di stupefacenti».
    Ha lavorato con registi di fama, ma in film che all’epoca si chiamavano d’essai, perciò non ha un soldo. Il che lo rende massimamente sospetto. In carcere si arrovella, imbastisce teorie cospirazioniste («L’anarchico Valpreda si trovava in galera, da tempo si era certi della sua innocenza e la stampa dava grande rialto a questo scandalo… L’apparato di Stato italiano aveva bisogno di un diversivo»), spera, protesta, si tormenta («Il regime penitenziario è la negazione dell’essere umano… Significa far tornare l’uomo allo stato di feto, perché si riconverta in macchina benpensante… L’individuo che esce di prigione è minuziosamente fabbricato per farvi ritorno»). Considerazioni che riecheggiano il dibattito di quegli anni sul carcere, l’istituzione totale, Goffman, Focault… E che, le si condivida o no, ci ricordano quanto oggi la riflessione sulla prigione sia spaventosamente latitante.
    Per Buñuel, Clémenti fu il diavolo-angelo della Via lattea e lo sprezzante amante tutto cuoio della Deneuve in Bella di giorno. Per Bertolucci lo sdoppiato rivoluzionario di Partner e lo chauffeur omosex del Conformista. Per Pasolini il cannibale di Porcile. In Italia iniziò col Gattopardo di Visconti, raccomandato da Alain Delon. Disse no a Fellini per Satyricon. Lavorò con la Cavani, Glauber Rocha, Jancsò, Makavejev, Ivory… Alla fine uscì dal carcere per insufficienza di prove. Ma in fondo non ne venne più fuori. Nemmeno con quel libro, quello sfogo terapeutico. È morto a Parigi nel ’99 per un tumore al fegato.

  3. Non è così frequente che un uomo, che sa esprimere il suo dolore mantenendo il suo grido, e che integra l’esperienza carceraria con una riflessione politica nel senso più ampio della parola, scriva anche di filosofia. In termini molto semplici, in un linguaggio sobrio e allo stesso tempo poetico, mostra ciò che significa la mutilazione imposta dalla “condizione carceraria”, come l’industria della punizione è parte di un meccanismo di risposta ai disoccupati del Mezzogiorno, come crea il circolo vizioso della recidiva. Tutto questo lo sapevamo già dalle cifre, non attraverso le sue lettere. Ma c’è di più: l’uomo negativo della prigione, questo uomo rinnegato, alienato, ci fa intravedere per contrasto le enormi risorse di creatività e di libertà che esistono in ognuno di noi… a condizione che noi non ci rendiamo prigionieri di noi stessi. Questo amico di Pasolini aveva perfettamente capito, decisamente, la sfida di tutte le rivolte. Da qui la cupa bellezza di questo testo.

  4. Nel 1971 Pierre Clémenti, icona perfetta del cinema mitico, firmato Roche, Pasolini, Garrel, Bertolucci, Buñuel, è arrestato a Roma per droga. Viene rilasciato per insufficienza di prove, ma riceve anche un folgio di via. Tornato in Francia scrive questo diario. Magnifici flashback svelano i suoi inizi in teatro a Parigi, ancora goffo nel porgersi allo sguardo dello spettatore. Poi, gli incontri italiani: Visconti che gli dà una piccola parte in ‘Il Gattopardo’ e quando lo vede per la prima volta gli dice: «Per un giubbotto nero, hai mani da principe…»; Buñuel, con un «volto favoloso, lavorato dalla vita, pesante e scavato»: per lui, Pierre è davanti alla macchina da presa in ‘Bella di giorno’ e ‘La via lattea’. Infine, Fellini: lo vuole nel ‘Satyricon’, ma lui rifiuta: «Era come la Fiat, centinaia di attori, migliaia di operai, di figuranti, di artigiani all’opera per mesi, una città intera da costruire e da abitare…». Clémenti, che fu anche regista, è morto nel 1999. Lunga vita a questo libro che lo proietta al centro del nostro amore.

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