Ognuno potrebbe | Michele Serra Ognuno potrebbe | Michele Serra

Ognuno potrebbe | Michele Serra

Il nodo è tutto lì, nel tempo verbale. É in quel ‘potrebbe’ che sta racchiuso il senso ultimo del romanzo di Michele Serra Ognuno potrebbe. Se i miei vaghi ricordi del liceo non m’ingannano, era Aristotele che parlava di potenza ed atto: siamo -fin dalla nascita- ciò che potremmo diventare in futuro (proprio come il seme è già, in potenza, un albero), ma spettano a ciascuno di noi la responsabilità e la fatica, ma anche la bellezza e l’incanto del cambiamento, del portare a compimento. Dobbiamo, proprio noi, far sì che la potenza diventi atto.

Giulio Maria potrebbe. Ricky potrebbe. La madre di Giulio e la professoressa Oriani potrebbero (o è più corretto dire avrebbero potuto?). Ognuno potrebbe racconta la vita qualunque di un Giulio Maria qualunque: egli è nato tardi, dal padre Giulio, anziano e taciturno, sempre indaffarato nel suo laboratorio di falegnameria, e dalla madre Maria, aspirante attrice mai affermatasi, che non perde occasione per ricordare che lei “ha fatto Ibsen”.

É nato a Capannonia, uno dei tanti luoghi depredati dalla mano rapace dell’uomo e da lui trasformati in non luoghi: capannoni fatiscenti che uno dopo l’altro smettono di respirare lavoro (solo Squarzoni ancora resiste), centri commerciali, vie che hanno come toponimi nomi di fiori, nemmeno lo sforzo di trovare un qualche personaggio storico a cui intitolarle, insomma non nomi per non luoghi.

L’inutilità svela ciò che l’uso febbrile delle cose ci impediva di vedere [: la bruttezza]. Le nostre cose non hanno più neppure l’unico alibi che le giustificava, essere utili.  Datemi retta, questo è un posto di merda.

Ora Giulio Maria ha trentasei anni, vive ancora con la madre -anche lei eterna ragazza- e di lavoro fa “ehm ehm, l’antropologo ricercatore”, cioè, per settecento euro al mese, tre giorni a settimana, visualizza, analizza e classifica, assieme al collega ed amico Ricky, centinaia di filmati che riprendono i pochi secondi di esultanza dei calciatori dopo il goal.

La banalissima verità è che non sono contento di me stesso. Non mi piaccio.

Però ha anche Agnese. A lei il protagonista dedica alcune delle parole più belle del libro:

Scura di crine, chiarissima di pelle, Agnese nuda emette una luce cinematografica da bianco e nero, che imprigiona i sensi.

O ancora… 

La cascata di riccioli neri si appoggia sullo schienale della sedia di alluminio, li sento frusciare sul metallo, la maglietta di cotone bianco mostra la forma dei seni, Agnese ha un istante di bellezza assoluta.

Agnese, solidamente pragmatica; Agnese, sempre a digitare sull’egòfono; Agnese, che gestisce, con la madre e due aiutanti -donne- il bar Ai Tre Pini (che in realtà sono due cipressi), roccaforte dell’efficienza e del pragmatismo femminile, genere a cui -in più punti del libro- va l’ammirazione dell’autore.

A parte quel lussuoso bianco e nero da diva del muto, [Agnese] vive qui in mezzo come se viverci fosse la cosa più normale del mondo.

Il protagonista, in un tempo che possiamo racchiudere in qualche settimana, racconta la sua piccola quotidianità: i giorni trascorsi in Facoltà a vedere filmati e discutere con Ricky, le uscite con Agnese, il rapporto in sospeso con il padre morto ormai da dieci anni e l’urgenza di decidere cosa fare del suo capannone in disuso, colmo di macchinari e contenente una catasta di legnami pregiati che sfiora il tetto. E soprattutto narra le osservazioni e le riflessioni di un ragazzo che sta cercando la sua direzione ma che, in questo tempo oberato di cellulari, di “a me non la danno mica a bere”, di teorie del complotto e di incapacità di comunicare con chi ci è accanto -perché troppo intenti a farlo con chi è dall’altra parte del pianeta-, si sente fuori luogo (anzi, fuori non luogo). Anche perché Giulio Maria ha la spiacevole sensazione di essere arrivato al giro di boa della sua vita senza averne fatto granché.

É anacronistico, Giulio Maria, ironico, riservato, a volte divertente, spesso insopportabilmente pignolo, apparentemente inconcludente, ossessivo e petulante, ma avverte che le cose non stanno andando per il verso giusto (e non solo per lui), e sente dunque l’urgenza che ritornino al proprio posto, come dovrebbero essere e come erano qualche decennio fa. Che stare un passo indietro in una fotografia ritorni ad essere un atteggiamento beneducato e non asociale. Che girare per strada significhi di nuovo guardarsi attorno e non vagare con lo sguardo basso, gli occhi fissi sullo schermo del proprio egòfono.

Passano i digitambuli, nel vaso mondo attorno.

Che ciascuno faccia un passo indietro: uno dei pochi momenti che Giulio ricorda del padre è quando gli tirò uno schiaffo per avere detto dieci volte in una frase io.

“Hai detto io almeno dieci volte. E’ molto maleducato.”
“Ma io non è una parolaccia!”
Nessuno di noi poteva immaginare che lo sarebbe diventata.

Che gli spazi tornino ad avere forma, identità, se non proprio bellezza.  A questo proposito, emblematica è l’immagine del cinghiale: è rappresentato sulla copertina, e compare in tre diversi momenti del libro: un esemplare morto sulla statale, all’inizio, poi la fugace apparizione di un cinghiale -questa volta vivo- mentre attraversa la strada, e infine in sogno. La natura che cerca di riprendersi il suo spazio? Un’incursione fortuita? Un segno di speranza? Certo, di speranza nel romanzo di Serra ce n’è poca: l’analisi dei tempi che corrono è spietata, ma vera. Ecco, questo è un libro pieno di verità, merce rara di questi tempi.

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Attraverso Giulio Maria, sempre facendoci sorridere, l’autore ci pone una sfilza di questioni mica da ridere. Ognuno potrebbe è un romanzo che, pur senza averne la pretesa, ha una forte valenza sociale: l’invecchiamento della popolazione, la disoccupazione giovanile, gli adulti ingabbiati nell’eterna e ad un certo punto ridicola definizione di ragazzi, la percezione del sé, i rapporti umani reali nell’era dell’egòfono, l’egocentrismo che diventa egòfonia. Sì, perché Serra conia anche una serie di geniali neologismi: il cellulare diventa l’egòfono, e i suoi utilizzatori compulsivi i digitambuli.

Ognuno potrebbe è un libro scorrevole, piacevole, che si legge d’un fiato, ma soprattutto disilluso, profondo, ricco di significati e di verità. É ironico, dissacrante, divertente, enigmatico. Insomma, vero. E dunque bello.

A proposito, Ognuno potrebbe… cosa?

Ognuno potrebbe salvare il posto dove vive. O perlomeno ha il diritto di vivere per un istante -anche un solo istante, come capita a me questa mattina- pensando che sarebbe capace di farlo.

 

Ognuno potrebbe _ Consigli per l’aspirante lettore

Questo libro è probabilmente per te se:

  1. Hai già una qualche idea (seppur vaga) della direzione che vorresti dare alla tua vita: in caso contrario, la lettura potrebbe avere spiacevoli effetti collaterali (inquietudini, ansie, rare reazioni psico-somatiche);
  2. Sei -come la sottoscritta- piuttosto diffidente nei confronti del nuovo che avanza e della rapidità con cui avanza, e forse la diffidenza è reciproca: tutte le tue credenze, le tue strambe opinioni, che da anni provi a far valere con i tuoi amici e che ti hanno spinto a cedere e comprare il cellulare solo pochi anni fa, troveranno in questo romanzo conferma e rinforzo. Coraggio! Non sei solo nella tua battaglia!;
  3. Ma forse anche se hai un rapporto esclusivo ed utilizzi in modo compulsivo il tuo smartphone: la lettura del romanzo potrebbe aprirti gli occhi, farti vedere il dispositivo da un prospettiva un po’ diversa;
  4. Sei un osservatore, un riflessivo, un introverso, uno che vuole farsi la propria opinione ma non sempre sente la narcisistica esigenza di esternarla: troverai in Giulio Maria un alter ego, intelligente ma scomodo;
  5. Sei un fan sfegatato dei Kings of Leon: in questo caso, però, mi sento in dovere di avvisarti che Caleb Followill -il leader del gruppo, ricco, famoso e… arrivato…- è nato nel 1982, quindi potrebbe essere più giovane di te;
  6. Detesti il paesaggio (…) urbano, i cubi e tubi, come li chiama Serra, ti mancava l’aria a Barcellona (magnifica città, certo, però quante poche aree verdi…), e cominci a respirare davvero soltanto quando attorno a te vedi una qualche forma di vegetazione.

Autore: Erika Lucadamo

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