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E i bambini osservano muti – di Giuseppe Marotta

E i bambini osservano mutiGiuseppe Marotta, finalista al Concorso Letterario Ioscrittore, con il suo romanzo d’esordio E i bambini osservano muti (Corbaccio editore, pp. 124, €14.90), descrive vendette color del sangue, mani che si alzano contro le donne di casa, falso onore, incitamento alle bravate e al disprezzo.

Ci si trova lungo la Domiziana, tra Napoli e Caserta, dove la camorra si dimena per i quartieri del posto e oltre.

Il nonno Don Furore, il boss, e Remì, il nipote, tracciano due linee opposte di una trama densa di contraddizioni e di personaggi ambigui, diversi ma in realtà convergenti, perché il puzzo della criminalità si diffonde ovunque.

Il padre di Remì, figlio di Don Furore, è l’idiota e il cornuto del clan, l’insicuro e  il debole, quello che proprio non riesce a lavare l’onta della fuga della moglie con il giostraio del posto. 

Remì osserva muto le dinamiche violente di un sistema basato sull’onore e nemmeno lontanamente sul rispetto, che a colpi di mazzate e insulti, modifica il tessuto non solo economico ma anche sociale e umano. Nella quotidianità di Remì la camorra e le sue cause e i suoi effetti sono normalità. Ma grazie alla madre, il cui pensiero è alto e nobile, si rende consapevole che tutto va come non dovrebbe andare. Reduce dagli insegnamenti del nonno si difende con il suo “micropugnomagico“, contraltare del suo “micropensieromagico”,  modellato dalle parole di mamma Ribelle. Tutto il libro è teso al raggiungimento di lei: Remì vuole ritrovarla, il padre, sotto sotto, vuole perdonarla, il nonno vuole ucciderla. Chi sarà il vincitore, il più forte?

Giuseppe Marotta, che ha trovato l’ispirazione per la sua prima opera da un film e da un fatto di cronaca, sorprende i lettori con il suo stile pulito, chiaro, realistico e descrittivo quanto serve. Infatti, non ci si sente appesantiti dai dettagli, mai inutili, e ogni conversazione riportata in napoletano ci trasporta in contesti violenti che letteralmente sbalordiscono ma che, ci si dimentica, appartengono a tutti.

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Tra Napoli e Caserta, c’è l’inferno muto: agglomerati di palazzi colmi di fedeli al boss, agglomerati di palazzi organizzati in clan, agglomerati di palazzi in cui regna poca tradizione sincera e tanta ignoranza.

Se non si muore, si fugge.  D’altra parte Remì è fortunato, nonostante i cattivi esempi di cui è circondato, riesce a salvarsi grazie alla madre, grazie al padre, il debole idiota lontano dalle leggi camorristiche. Il finale positivo è una piccola speranza per tutti i bambini che in giro se ne vanno con le pistole.

“Quando mamma veniva a sapere che nonno mi aveva portato con lui a sparare sul Vesuvio eccetera eccetera, in casa scoppiava il quarantotto. Prima mi acchiappava da solo, mi alzava di mezzo metro da terra e, scuotendomi come quando vuoi far cadere dei frutti maturi da un albero senza salirci sopra, urlava: « Tu ‘ncoppa a quelle sfaccimme ‘e motociclette non ci devi andare, ma come te lo devo dire, in francese, Remi? E nemmeno a sparare devi andare. A che ti serve sparare, me lo dici? Che devi fare il killer? » Poi correva verso Don Furore e gliele cantava senza sosta: « Che volete che Remi faccia la stessa fine ‘e chilli quattro strunzilli che vi girano intorno?”

 

 

 

 

Autore: Francesca Ielpo

Mi laureo in Lettere presso la Sapienza di Roma, per poi continuare con una magistrale in Editoria e Scrittura. Giornalista pubblicista, mi dedico anche all’insegnamento dell’italiano per stranieri. Prima in quella città sporca e bella, ora in Turchia, dove profumo sempre di mare ma annuso la guerra.

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