Non avrai altro dio, analisi storica della violenza religiosa | Jan Assmann
Nel 1844 Marx scriveva: “La religione è l’oppio dei popoli”. Nel 2007, Jan Assmann ne Non avrai altro dio (Edizioni Il Mulino) parafrasa le parole del grande filosofo tedesco affermando che “la religione è la dinamite dei popoli”.
La tesi di Assmann è che la nascita della religione monoteista coincida con la nascita di un tipo nuovo di violenza: la violenza religiosa. Non si tratta della violenza in nome della religione, che è sempre esistita sotto forma di sacrificio rituale, ma della violenza fra religioni diverse, della violenza inter-religiosa. L’ ebraismo ha introdotto qualcosa di nuovo nell’orizzonte del pensiero umano: l’idea di un unico dio, onnipotente e creatore. Si tratta di un archetipo che distrugge alla base quella che era stata la più grande ricchezza delle religioni politeiste dell’antichità, cioè la possibilità di una “traduzione”, di una comprensione reciproca di fedi diverse.
Se gli dei sono tanti, allora sia le divinità dell’Olimpo che quelle che abitano le sponde del Nilo possono convivere tranquillamente. D’altronde, l’antichità pagana è piena di esempi di sincretismo religioso. L’idea di un unico dio invece nega di per se stessa l’esistenza di altre divinità. Da questo punto di vista, ogni altra religione è un’illusione che si basa su menzogne: l’unica verità è quella contenuta nel libro sacro, e discende da Dio. La rivelazione non può essere smentita, e non accetta di convivere con altre visioni del mondo. Non ci può essere spazio per una comunicazione, né tantomeno per una traduzione. L’unico linguaggio possibile per il monoteismo delle origini è quello della conversione, da attuare anche con la forza.
Dalla lettura che Freud fa della storia di Mosè e della nascita del dio unico, passando per i grandi eventi della storia ebraica, Assmann esamina le origini e le manifestazioni del fenomeno della violenza religiosa nell’Antico Testamento. E lo fa senza cadere nella retorica, oggigiorno tanto abusata, del “conflitto di civiltà”, che è anche e soprattutto conflitto di religioni.
La sua è un’analisi storica (Assman è un egittologo di formazione), scientifica, che non vuole screditare il valore etico e sociale dei grandi monoteismi, ma semplicemente analizzare i motivi per cui all’interno del testo fondativo dell’ebraismo si è radicata l’idea della violenza religiosa, e le forme in cui questa idea si è espressa: storia sì, ma storia del pensiero.
La domanda fondamentale è: perché l’ebraismo si è figurato la sua nascita ricorrendo al linguaggio della violenza? Perché la religione, qualunque religione, si presta ad essere letta come opposizione totale, a venire usata come pretesto per esercitare la violenza? Assmann indaga questi temi in maniera interessante e originale, senza annoiare e anzi invitando ad interrogarci sulla possibilità di una comprensione inter-religiosa. Perché riflettere senza pregiudizi sull’origine della violenza religiosa è già un modo per abbattere quel muro di intolleranza, incomunicabilità e ostilità che ancora ai nostri giorni, purtroppo, divide i grandi monotesimi e giustifica quell’orrore che è l’uso della forza in nome della volontà di un dio unico.
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