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“La ballerina di Bagdad”: la lezione della piccola irachena

Venti bambine danzano nella capitale dell’Iraq, mentre si addensano nubi nere sul Paese. Dal cielo attendono una vita e un futuro migliori, non missili e bombe. Tra loro Erfan 13 anni, il cigno bianco di Tchaikovsky. Due millenni dopo Alessandro, un’altra armata sta invadendo in primavera la terra del Tigri e dell’Eufrate. E per lei l’età dei giochi finisce qui.

È dedicato a tutti i bambini, vittime delle guerre, “La ballerina di Bagdad” (Edizioni San Paolo, 192 pagine, 7,90 euro), romanzo di una scrittrice catalana, Gemma Pasqual I Escrivà. Racconta il dramma di una famiglia irachena, durante e dopo la campagna alleata del 2003 che ha deposto Saddam.

A casa di Erfan si vive di poco, ma serenamente, nell’Iraq affamato dalle sanzioni internazionali contro il regime. Papà Issam è un musulmano aperto, non odia l’Occidente. Anche mamma Zouad è una donna moderna, laureata, colta. Poi c’è la sorellina di sei anni e la nonna materna soggiorna spesso con loro.

All’avvio di Enduring Freedom, la capitale va in fiamme. Tutti si rintanano nelle abitazioni, trasformate alla meglio in rifugi, mentre in televisione il dittatore e i generali continuano a parlare di vittoria. I raid aerei distruggono centrali energetiche e di comunicazione. Il 3 aprile salta la rete elettrica, il giorno dopo è interrotta l’acqua corrente.

Issam si improvvisa guida del Ministero dell’informazione per i giornalisti stranieri. Nessuno vuole fare più quel lavoro pericoloso. Si trasferiscono all’Hotel Palestine, sede della stampa estera, in una stanza minuscola al settimo piano, da dividere con una famiglia di scarafaggi. Sempre meglio della “casa” che procurerà lo zio severo e fondamentalista: un buco di nove metri quadrati pieno di topi e col pavimento di cemento grezzo. Una punizione per la natura di donna libera di Zouad, ora che è rimasta vedova. Il marito infatti è stato ucciso ben dopo la fine dei combattimenti e madre e figlie devono affrontare ora una vita piena di avversità. Non ci può essere ritorno a casa, distrutta da un missile. Disagi, miseria, privazioni. Fanno i turni per prendere l’acqua da un rubinetto pubblico vicino a un pozzo nero. Tutto costa, gli alimenti essenziali sono carissimi, quando non mancano. Nessuna sicurezza, né dagli americani – visti come occupanti più che liberatori – né dai connazionali. La città è saccheggiata dagli stessi abitanti. Ottomila anni di storia in macerie, pensa Erfan. Invidia i bambini occidentali che hanno paura solo dei mostri nei sogni, non delle bombe da svegli. “La guerra ci ha colpiti con forza e ciò che chiamano dopoguerra continua a farci del male”. La mamma indossa la tunica tradizionale, nera, informe, che aveva sempre rifiutato. Sono smunte, provate. Stanno cambiando, un sorriso è raro.

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Nel finale, una speranza. Ma non in Iraq. Si apre una luce in Spagna, una nuova famiglia, l’università di Valencia. Nel mercato trovano perfino un tutù da ballerina. Costa, ma comprarlo rende felici tutte: mamma, nonna, sorellina. La bambina non sta nella pelle, già balla sulle punte, camminando nella piazza grande, piena di gente e confusione. Troppo affollata, per chi odia la normalità, un lusso da cancellare…

Da Erfan arriva un messaggio ai ragazzi e agli adulti in Occidente: la pace e la vita vanno difese fin che si hanno. E una grande lezione: la libertà è quella che un popolo si guadagna da solo, non quella imposta dagli altri con la forza.

Autore: EffeElle

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