Le notti fiorentine | Marina Cvetaeva Le notti fiorentine | Marina Cvetaeva

Le notti fiorentine | Marina Cvetaeva

Le notti fiorentine CvetaevaLe notti fiorentine (Neuf lettres avec une dixième retenuedi, il titolo originale dell’opera) sono una serie di lettere private tra Marina Cvetaeva e Abram Višnjak, amante e direttore della casa editrice Gelikon, conosciuto nel 1922 con il trasferimento a Berlino della poetessa. Il titolo della raccolta (pubblicata da Voland) rende omaggio alle Notti fiorentine di Heinrich Heine, che proprio Marina avrebbe dovuto tradurre per la casa editrice di Višnjak.

Gelikon, come veniva soprannominato l’editore, aveva pubblicato la raccolta Separazione e Mestiere della Cvetaeva. Tra quell’uomo tutto pelle e niente anima e la poetessa cominciò una intensa, per quanto fulminea, relazione che andò a toccare la sfera spirituale.

Tradotte e curate da Serena Vitale, dal 1997 docente di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica del Sacro Cuore e traduttrice dal russo (oltre alla Cvetaeva ha tradotto testi di Nabokov, Brodskij e Puškin) e dal ceco, Le notti fiorentine contengono pagine vibranti e ardenti. Nove lettere in totale – più una ricevuta e una postfazione – che, come dice la stessa poetessa moscovita, non aveva mai scritto a nessuno fino ad allora, con quel tono, con quella passione.

La trentenne Marina Cvetaeva si rivolge all’amante analizzando il fiuto animale con il quale la ha attirata a sé. Le parole di Marina sono un misto tra accusa e cieca ammirazione, verso il soggetto amato e verso se stessa. La poetessa russa rivendica la propria identità, piena di difetti ma vera, reale, definita. 

Io non vi amo né tanto, né a tal punto, né fino a… — io vi amo così. (Non vi amo tanto, vi amo come.) Oh, molte donne vi hanno amato e vi ameranno con maggior forza. Tutte — di più. Nessuna — così.

Quello che cattura il lettore è il piglio diretto dell’autrice russa e la profondità dei versi, dai quali traspaiono una poesia e una prosa già pienamente sviluppate. Furono quelli gli anni di maggiore splendore della poetessa che, alla soglia dei cinquant’anni, il 31 agosto 1941, in una fatale isba di Elabuga, sperduto villaggio della repubblica del Tatarstan, si toglierà la vita. Impiccandosi.

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Cvetaeva Le notti fiorentine

L’ardore delle lettere, maturate tra giugno e luglio 1922, avrà vita molto breve: nello stesso mese di luglio Marina Cvetaeva inizierà il rapporto epistolare con Boris Pasternak e il capitolo Višnjak verrà archiviato. Le fiamme che sgorgano impetuose dal carteggio tra Marina e il direttore Gelikon, nascondono però anche un senso di inadeguatezza fortemente radicato nella poetessa.

Vivere vuol dire tagliare e infallibilmente sbagliare e poi rattoppare – e nulla tiene (e nulla ti appartiene, e non si tiene più a nulla – e perdonatemi questo triste, grave gioco di parole). Ogni volta che cerco di vivere mi sento una misera sartina che non confezionerà mai niente di bello, che riesce soltanto a far guasti e ferirsi, e che lasciando all’improvviso tutto – forbici, pezze, rocchetto – si mette a cantare. Davanti a una finestra dietro la quale piove in eterno.

Autore: Redazione Leggere Libri

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