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La vita accanto, secondo arrivato allo Strega di quest’anno, ci porta in una favola di contrasto tra bellezza e bruttezza

La vita accantoLa vita accanto (ed. Einaudi, 12.00 € su Feltrinelli.it), di Mariapia Veladiano, è un romanzo anti-estetico, eppure proprio per questo reso alla bellezza quasi massima. Non per niente è arrivato secondo al Premio Strega 2011.

Ma il glamour, il patinato, la voglia di bello qui scompaiono per lasciare spazio alla sincerità e all’onestà dei sentimenti.

Il primo romanzo della Veladiano, che ha vinto anche il Premio Calvino 2010, parla di Rebecca, che all’origine del nome ha ‘colei che irretisce gli uomini’, mentre in realtà è proprio l’opposto. Un nome che le è stato dato da due genitori bellissimi, che si aspettavano una figlia altrettanto bella. Invece Rebecca è brutta, nata con una deformazione, e le reazioni non si fanno attendere.

La madre, appena dopo il parto, rifiuta praticamente la figlia, mentre il padre, preso dalla concezione della casistica gesuitica e dalla sottomissione agli eventi che accadono intorno, lascia che le cose avvengano, senza intervenire, senza opporsi, e si limita a erigere un diaframma tra la figlia e il mondo.

A occuparsi di Rebecca, in realtà ci penseranno la zia Erminia, che nasconde un segreto però dietro quest’affetto, e soprattutto la tata Maddalena, che ha fatto dell’affetto per la ragazzina una necessità emotiva.

Rebecca però non è esente da talenti. Infatti ha delle mani bellissime ed ha un orecchio finissimo per la musica, e si scopre per suonare il piano. Quando cresce, conosce la ‘vecchia signora’ De Lellis, celebre musicista da anni isolata in casa, che la introduce al mondo musicale, mentre la zia, che ormai controlla tutte le decisioni della famiglia, ha deciso per la ragazzina che diventerà una musicista. Per sua fortuna, perché proprio la musica sarà un fattore di riscatto che  permetterà a Rebecca di poter avere una speranza di vita decente.

Tutto si svolge tra Vicenza e la provincia. A fare da spartiacque geografico e narrativo c’è il Retrone, un fiume maleodorante che è anche la metafora della storia. Il corso d’acqua melmoso, che scorre sotto la città, nasconde segreti indicibili, o altri che diventano tali quando si avvolgono in una coltre di non-detto e angosce. Così il romanzo si dispiega tra ipocrisie, intolleranze, violenze, omicidi e suicidi che vengono solamente accennati, mai dichiarati apertamente, come qualcosa di sotterraneo.

Intanto Rebecca mentre cresce diventa bersaglio degli altri bambini, con episodi tanto crudeli fino a chiamarla ‘mostro peloso’, mentre le stesse figure dei genitori sono completamente assenti.

E’ attorno alla bruttezza che gira il mito, da eliminare, del suo scandalo, intollerabile nella società dell’immagine. Ma lei accetta il suo limite, la sua condizione, temerariamente, perché per lei è dettata da una qualche legge naturale. Attorno però incontra rifiuto, orrore e anche complicità e sotterfugi, fino a svelare la perversione della sua famiglia.

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Rebecca però possiede un’altra qualità, è in qualche modo portatrice di un’energia positiva che attrae attorno a lei diversi angeli protettori e confidenti, a partire dalla maestra, alla compagna di banco che diventa sua amica, Lucilla, a Maddalena. Tutti angeli di sesso femminile, l’uomo come genere resta sempre ai margini, dal padre assente a tutti gli altri che interverranno nella storia. Gli uomini per lei non sono all’altezza, o comunque impotenti, non in grado di cambiare qualcosa.

Il romanzo della Veladiano è intriso di mistica nel linguaggio, di sacro e di cristiano, oltre che di tutte le varie vene che arrivano dal cattolicesimo.

Ma proprio da queste ultime parte per arrivare, invece, al messaggio più puro e spirituale che appartiene alla stessa Rebecca, decontaminato da tutte le falsità della mente umana. La conseguenza più chiara è l’amore per la musica, arte che se equilibrata esprime al meglio la spiritualità. Dunque dalla concezione iniziale del “Dio distratto” o assente, arriva invece al dono di possiedere qualcosa di eccezionale, mancante nella maggior parte delle persone a cui invece sta più a cuore l’apparenza, l’estetica dell’immagine e del vuoto – inteso come assenza di contenuto profondo.

In realtà lentamente Dio appare come Colui che lascia gli uomini alle proprie responsabilità, non intervenendo nelle scelte che sono proprie di ognuno.

Mentre il male, la sofferenza e il dolore sono, per così dire, banalizzati perché si trasformano in chiacchiera cittadina, pettegolezzo. Solo Maddalena, la tata che si occupa anche della ricca casa dei veri genitori, riesce a trovare le parole giuste spesso attinte ai testi sacri. Maddalena è un personaggio che ‘sa’, conosce le cose per intuito ed esperienza, come i cori della tragedia greca. Ma è responsabilità di Rebecca capire come agire.

Nel suo romanzo la Veladiano racconta l’intolleranza, la prevaricazione degli uomini sulle donne,  l’incapacità di accettare e di accettarsi, la potenza delle passioni e del talento. E per far capire che la bruttezza non è tale se vista da un altro punto di vista, scrive in modo limpido e chiaro, le parole sono scelte una per una, mantenendo la narrazione scorrevole e godibile, tratteggiando i personaggi in maniera comica, buffa.

L’autrice ha trasformato una storia che poteva essere drammatica e pesante in una leggera favola, anche se, forse, i concetti di bello e brutto sono portati un po’ all’estremo e a volte banalizzati.

Consigliato per la lettura.

Autore: Alex Buaiscia

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1 Commento

  1. …ma che “La vita accanto” è stato scoperto dal Premio Calvino -che ha vinto nel 2010- lo vogliamo dire o in Italia esiste soltanto lo Strega?

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