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“Il ghetto di Varsavia” di Mary Berg

Il ghetto di VarsaviaUna volta assorbite le emozioni e le riflessioni trasmesse dal diario di Anne Frank, ho sentito la necessità di proseguire sulla strada dei diari, selezionandone uno di cui non ero a conoscenza: “Il ghetto di Varsavia – diari 1939-1944” di Mary Berg. 

Rispetto agli scritti della Frank, “Il ghetto di Varsavia – diari 1939-1944” è un racconto più asciutto di emozioni, una cronaca ferrea e dettagliata dei terribili giorni che sconvolsero gli ebrei polacchi, pur mantenendo una potenza comunicativa di elevata intensità. 
Le memorie di Mary Berg, pseudonimo di Miram Wattamberg, iniziano il 10 ottobre del 1939, poche settimane dopo l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi

Pagine che trasudano storia

Seppure Mary Berg abbia iniziato a redigere il proprio diario molto tempo prima, la prima testimonianza scritta è datata 10 Ottobre, giorno del suo compleanno; lo stesso faceva Anne Frank, che iniziava a scrivere il giorno del suo tredicesimo compleanno. 
Miriam, natia di Lodz, ha quindici anni quando con la sua famiglia rientrerà nella città natale, per toccare con mano le brutalità della dominazione tedesca: la casa svaligiata è solo il primo segnale delle atrocità di cui i tedeschi si stanno macchiando. Allora Mary deciderà di segnare nero su bianco la quotidianità del più grande ghetto d’Europa, racconto le urla e lo strazio della sua gente, ma anche le loro straordinarie doti organizzative.

La permanenza di Mary è raccontata attraverso strade e personaggi: Via Leszno, con il teatro Femina e i suoi ferventi spettacoli, via Sienna, dove si trova la scuola e dove Mary incontra i suoi “tipi particolari”, come la signora Gelbart, elegante cinquantenne che “ride insieme ai giovani ritornando giovane”; persino l’epidemia di tifo che si propaga all’interno del ghetto viene geograficamente descritta dalle strade coinvolte.

Minuziosamente descritte anche le scene più crude ed emblematiche della situazione di miseria e disperazione a cui gli ebrei sono ridotti. I cadaveri congelati su cui ci si imbatte attraversando l’asfalto, persone rimaste rannicchiate per sempre mentre stavano cercando di proteggersi dal freddo, i passanti colpiti deliberatamente a tradimento dai tedeschi o bambini che marciano in fila per quattro verso una sicura e spietata esecuzione. 

Archivio storico ghetto di Varsavia

Bundesarchiv, Bild – Foto: Zermin, Maggio 1941

Nota e annota Miriam, spaventata e cosciente che si stia scrivendo non solo un diario ma anche la storia, eppure così determinata e aggrappata alla vita.

I personaggi del ghetto e la loro forza vitale

Il ghetto di Varsavia è una superficie di circa tre o quattro chilometri quadrati delimitati da spesse mura, in cui vengono rinchiusi quattrocentomila ebrei; ma, nonostante, lo stato di oppressione, vuole comunque emergere dalle sabbie mobili costruendosi una quotidianità dignitosa, pur poggiando le sue fondamenta su un terreno in disfacimento. Nel Caffè Artistico “Sztuka”, Miriam vedrà esibirsi anche Wladyslaw Szpilman, figura resa celebre dal film “Il Pianista”, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2002.
La stessa scuola cercherà di trovare i propri spiragli vitali, organizzando corsi e lezioni, inizialmente in maniera clandestina e approssimativa, successivamente con la concessione dei tedeschi, tra le difficoltà di reperire quaderni, matite e diari e le improvvise incursioni di ufficiali nazisti in classe che costringono i partecipanti a riordinare tutto in fretta e furia. Corsi di architettura, disegno tecnico, educazione artistica o arti grafiche portano in dote la voglia di emergere da una situazione difficile.

Ho l’impressione di visitare per qualche ora un mondo lontanissimo dalla vita spettrale del ghetto

Mary è circondata da personaggi che potrebbero essere protagonisti di un film: Tadek, un suo spasimante apertamente dichiaratosi, il caro amico Romek immusonito nel momento in cui la ragazza sta per lasciare il ghetto tanto da non accettare la sua mano tesa e fuggire via travolto dal rancore di perderla, le compagne di scuola, lo zio Abie e i vicini di casa.

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La prigione di Pawiak come ancora di salvezza

La permanenza di Mary nel ghetto, però, non sarà definitiva; il passaporto statunitense della madre le permetterà di non vivere sulla propria pelle quel 16 Maggio 1943: quando il ghetto di Varsavia sarà raso al suolo,  lei starà già nella prigione di Pawiak, in attesa di essere scambiata con ufficiali tedeschi, tenuti prigionieri dagli Americani. 

Proprio l’ultima notte prima della partenza verso la prigione di Pawiak subentrereranno in Mary i sensi di colpa: il privilegio di avere una madre statunitense la salverà sicuramente dal terribile destino a cui, invece, sta abbandonando i propri amici. I giorni di prigionia sono duri quasi quanto quelli trascorsi nel ghetto; oltre ai pensieri protesi verso quelle mura lasciate al loro destino, dal grigiore della sua cella Mary ode ogni notte le efferate esecuzioni dei tedeschi che si consumano proprio sotto la sua finestra. Poi, una sera di inizio marzo del ‘43, la svolta: il trasferimento in Francia, a Vittel, per poi prendere un treno che non va ad Auschwitz, ma verso Lisbona.
Da est verso ovest i paesaggi si colorano, il profumo della libertà si fa sempre più vicino. E’ dal Portogallo infatti che salpa il transatlantico Gripsholm, la chiave che apre la porta della libertà.

Mary salperà verso New York e lì il suo diario verrà pubblicato, addirittura a guerra è ancora in corso.

La forza del particolare

m bergIl diario di Mary Berg è un racconto ricco di dettagli, che riporta in maniera puntuale e oltremodo struggente la quotidianità dello strazio e, allo stesso tempo, l’umanità della speranza, anche quando questa appare una lontana chimera.
Credo che il pensiero a mio avviso più emblematico sia sintetizzato in un passaggio che  racchiude in brevi righe il carattere orgoglioso della popolazione ebrea.

“Ogni giorno nell’Art Cafe’ di via Leszno si possono ascoltare canzoni satiriche sulla polizia, sul servizio delle ambulanze, sui risciò e persino, in maniera velata, sulla Gestapo. La stessa epidemia di tifo è argomento di scherzi. È un sorriso tra le lacrime ma pur sempre sorriso. L’umorismo è la sola cosa che i nazisti non sono assolutamente in grado di capire”.

 

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