L’opera da tre soldi | Bertolt Brecht
Si alza il sipario, si respira l’aria fetida, putrida, inzuppata di una Londra meschina, senza morale e Bertolt Brecht mette in scena la sua Opera da tre soldi.
Lo spettatore viene catapultato nell’ambiguo negozio di Gionata Geremia Peachum, in cui si vende la miseria, la falsità, la perdita della dignità.
Un locale in cui si accumulano oggetti, menomazioni, dolori, poi venduti a mendicanti della vita reale, come se la loro sofferenza non fosse abbastanza vera, da far impietosire i ricchi, distratti dal danaro.
I miserabili, sono costretti a scimmiottare una povertà borghese, per ricavarne un infimo guadagno.
Il pubblico viene trasportato da una scena all’altra su nobili carrozze, al suon di melodie stridenti.
La scena teatrale si chiude su se stessa e lascia spazio al canto, ad una melodia che in punta di piedi, mima un’atmosfera burlesca.
Gli intervalli musicali brechtiani non hanno un gusto catartico, accennano ad una scena apparentemente epica, per straniare lo spettatore. Gli astanti sono avvertiti e preparati dalla stessa, medesima scena:
“Luce dorata. L’organetto viene illuminato. Dall’alto scendono tre lampade appese a una pertica. Sui cartelloni la scritta…”
ed ecco che cala il sipario, termina la rappresentazione teatrale, gli attori corrono in platea, fanno a pugni con gli spettatori, ingrigiti dal torpore borghese, fendono le loro menti ed insinuano il dubbio.
La figlia del venditore di miseria, Polly Peachum sposa, in una squallida stalla, Macheath, il più vile dei miserabili.
Essere senza scrupoli, senza dignità, meschino traditore, posseduto da un insano desiderio lussurioso, crede di poter comprare uomini, puttane e valori con danaro rubato.
Scena surreale, in cui l’una crede di amare profondamente un uomo conosciuto da pochi giorni, e l’altro finge quello stesso amore, per beceri scopi.
Il salotto borghese si sgretola, perde terreno, davanti ad un pubblico incredulo.
Bertolt Brecht mette a nudo i meccanismi che presiedono al funzionamento della macchina teatrale, che mette in scena la finzione della vita.
L’attore interrompe la scena con commenti e riflessioni che coinvolgono attivamente il pubblico, canta davanti al sipario, per smascherare la finzione, si pone tra gli spettatori per creare un pubblico fittizio, squarcia la quarta parete.
Nelle opere brechtiane i personaggi diventano motori di dibattito, di scambio di posizioni, attraverso lo scontro di diversi e contrastanti punti di vista. Lo spettatore, dunque, è posto al centro di contraddizioni, di punti di vista divergenti, che non giungono mai ad una verità assoluta.
Il teatro di Brecht, concepito durante la prima guerra mondiale, riflette l’instabilità e il vuoto degli ideali del tempo.
In un’epoca di crisi radicale, l’arte non può più riflettere gli ideali romantici, ma soltanto la drammatica realtà del tempo e il fallito tentativo di fuga da esso.
L’interesse di Brecht per il teatro ha radici lontane, è un teatro che gioca sulla deformazione e sull’assurdo, che però l’attore tende a ridurre sul piano della farsa; un teatro in cui i personaggi avvertono l’inadeguatezza dei propri corpi, cercano di affermarsi attraverso valori inconsistenti. La prima guerra mondiale ha già lasciato i testimoni dell’aberrazione, vittime vive, attori di un dolore alienante.
Il contesto teatrale in cui Brecht si inserisce è quello del dramma borghese di impianto naturalistico, che si incentra sostanzialmente sui problemi della famiglia e del danaro, sull’adulterio e sulle difficoltà economiche.
È un dramma serio, che spesso indulge all’enfasi e al sentimentalismo, e si fonda sulla verosimiglianza, sulla riproduzione fedele della vita quotidiana, sia pure con qualche forzatura romanzesca, sulla proposizione di personaggi a tutto tondo, su uno psicologismo che aveva come presupposto la rigida consequenzialità di causa ed effetto, propria del determinismo naturalistico.
Brecht, epicamente, riprende quei temi e quegli ambienti, ma porta la logica delle convenzioni borghesi alle estreme conseguenze, sino a farla esplodere dall’interno.
I ruoli imposti dalla società borghese, vengono assunti con estremo rigore, sino a giungere al paradosso e all’assurdo, per poi essere smascherati nella loro inconsistenza. Brecht porta sulla scena il suo relativismo assoluto, che contesta la pretesa di definire una volta per tutte una verità oggettiva, e sottopone a critica l’idea comune di identità personale.
Gli spettatori non hanno l’illusione di trovarsi di fronte a un mondo naturale, del tutto simile a quello in cui sono abituati a vivere, ma vedono un mondo stravolto, ridotto alla parodia e all’assurdo, in cui i casi della vita quotidiana sono forzati all’estremo e deformati, assumendo una fisionomia stranita, artificiosa, meccanica, che lascia sconcertati e spaesati. Parimenti i personaggi non sono caratteri corposi, dalla psicologia coerente e unitaria, ma personalità scisse, sdoppiate, contraddittorie, irrigidite, trasformate in esagitate marionette.
A questo processo di riduzione all’assurdo di situazioni e figure concorre anche il particolare linguaggio, che è basso, volgare, sporco, gretto, concitato, convulso, frantumato ed impedisce l’identificazione emotiva degli spettatori, inducendoli a vedere la scena in una prospettiva straniata.
Unico personaggio, detentore della saggezza e dei veri valori è Brown, capo della polizia di Londra, intimo amico di Macheath. Sarà costretto a tradirlo, soltanto per un bene superiore. Per onorare la regina, in un tempo in cui si giurava prima fedeltà ai sovrani e poi a se stessi, Brown condurrà alla forca, l’amico di guerra, Macheath.
Gentili spettatori, se siete curiosi di conoscere il finale, cavate tre soldi dalle vostre tasche ed offritele a questo spettacolo di vita!