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Il bell’Antonio | Vitaliano Brancati

Pubblicato per la prima volta nel 1949, “Il bell’Antonio” di Vitaliano Brancati tratta con l’irriverente e gustosa scrittura dello scrittore pachinese il tema del gallismo e dell’ottusità siciliana in una Catania immersa in pieno regima fascista.

Il bell'AntonioIl protagonista del romanzo è Antonio Magnano, un bellissimo giovane, riservato e gentile, oggetto del desiderio di ogni donna, a cui si attribuiscono vari flirt più o meno clandestini.

Il primo sostenitore di queste tresche è il padre Alfio, incorruttibile promotore dell’assoluto peso della virilità maschile. Egli incentiverà l’unione di Antonio con Barbara Puglisi, immacolata figlia di un importante notaio, per assicurare al giovane uomo un florido avvenire. Passati tre anni dal matrimonio tra i due, però, il notaio Puglisi si recherà dal signor Alfio per comunicargli una notizia a dir poco sconvolgente per questi:

È accaduto che mia figlia, dopo tre anni di matrimonio, è tale e quale a come è uscita dalla mia casa.”

Presto la notizia dell’assente attività matrimoniale di Antonio diverrà di dominio pubblico. Il sacro onore di una famiglia siciliana, basata sul valore pressoché assoluto del gallismo, scadrà sulla bocca di tutti tra scherno e compassione, risatine e complici toccatine di gomito. Tutta Catania verrà a sapere che Antonio Magnano, il bell’Antonio, colui che faceva sollevare lo sguardo dal messale a tutte le donne non appena metteva piede in Chiesa, è tutt’altro che l’ardente uomo che tutti si figurano. Qui emerge prepotentemente un elemento caratterizzante dell’opera brancatiana: la vacua venerazione per il dio sesso.

Una venatura grottesca e tragicomica è data al romanzo dall’inesistente sensibilità dei genitori di Antonio dinanzi il problema che attanaglia il figlio. Alfio, infatti, è unicamente interessato a levare quell’onta di disonore scesa sulle sue spalle piuttosto che a comprendere e risolvere il dilemma di Antonio.

Tra picchi di goliardia e satira in salsa sicula, momenti che aiutano a non incupirsi troppo nel dramma, Antonio confesserà la sua disgrazia al solo personaggio della storia che pare comprenderlo: lo zio Ermenegildo, suo unico supporto morale. Qui si trova il momento centrale del romanzo con il penoso racconto che ha condotto Antonio alla sua impotenza.

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Altro fattore caratterizzante della narrazione del Brancati è la cruda comicità con la quale vengono descritte le diatribe di casa Magnano e i chiacchiericci, spesso in lingua volgare, tra i personaggi che popolano la soleggiata Catania. Discutendo del problema di Antonio: “E che ci campa a fari?”, “Megghiu mortu!”, “Megghiu mortu milli voti!”.

Il popolo, temprato nei principi del machismo e dell’onore, alla stregua della forma mentis del signor Alfio, non si capaciterà della mancata reazione, anche trascendente alla follia, di Antonio al cospetto della sua sventura. La buaggine culturale descritta non lascerà scampo al giovane.

Tutta la vicenda si svolge in un contesto sociale segnato dall’ipocrisia e dall’ottusità del fanatismo politico, dallo stagno oscurantismo che imperversa nella società siciliana fascista degli anni Trenta. Brancati non tralascia anche audaci intermezzi per descrivere il delicato momento politico e gli uomini più influenti del periodo come Mussolini e Hitler; politicamente scorretto diremmo oggi.

Il finale del romanzo è funestato dalle morti e dalla guerra, ma riverberato da un raggio di speranza con la caduta del regime fascista e l’avvento di un futuro tutto da scrivere.

Vitaliano Brancati, uno scrittore diverso, come lo elogerà Leonardo Sciascia, regala un finale che fa riflettere sulla insipidezza delle ansietà legate al sesso e lascia al lettore un velo di poetica tristezza, un sapore amaro, quasi un magone di insoddisfazione, che fa de “Il bell’Antonio” – dal quale nel 1960 nascerà la versione cinematografica con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale nei panni di Antonio Magnano e Barbara Puglisi – un romanzo da gustare e amare fino all’ultimo rigo.

Autore: Redazione Leggere Libri

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