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Quel treno per il Pakistan | Khushwant Singh

Quel treno per il PakistanUn romanzo datato 1956 e giunto in traduzione italiana solo nel 1996, “Quel treno per il Pakistan” racconta la feroce lotta che accompagnò la divisione del Pakistan dall’India nell’estate del 1947.

Lo scrittore indiano Khushwant Singh, autore di molti saggi e romanzi tra i quali spiccano «Storia dei Sikh», «La compagnia delle donne» e «Delhi», è nato il 2 febbraio 1915 nella località di Badali, oggi in Pakistan, ed è venuto a mancare a novantanove anni, nel 2014. Dopo aver ricevuto forti intimidazioni e minacce da un gruppo di fondamentalisti per il suo impegno civile, dal 2001 conduceva una vita appartata.  
Nel 2007 era stato insignito dell’importante onorificenza indiana Padma Vibhushan. 

Un romanzo scritto “per senso di colpa”

“Mentre là fuori si uccideva, io e la mia cerchia di amici – tra cui molti musulmani – stavamo seduti nelle nostre case bevendo scotch, whisky, e deplorando tanta follia. Non potevamo fare nulla, salvo forse immolare le nostre vite nel tentativo di salvare qualcuno. E non l’abbiamo fatto. È questo il senso di colpa“. Queste le frasi che Khushwant Singh rilasciava in un’intervista, dopo aver assistito, impotente, alla Partition del Pakistan a maggioranza musulmano e dell’India a maggioranza hindù.

Tra le emozionanti pagine del romanzo si ripercorrono i fatti della tragica estate del 1947: la separazione del Pakistan comportò la morte di un milione di persone tra Sikh, Indù e Musulmani. Mentre l’India era dilaniata da questi sconvolgimenti, al villaggio di Mano Majra il tempo sembrava essersi fermato: intorno alla stazione, centro nevralgico del villaggio, convivevano pacificamente una settantina di famiglie appartenenti a diverse religioni come testimoniava la presenza di una moschea, di un tempio Sikh e di una famiglia hindù.

In quella tragica notte di agosto, però, gli spari che uccisero l’usuraio Lala Ral Lal gettarono sul villaggio un’inquietudine sinistra. Quegli stessi colpi condizionarono per sempre le vite del bandito Sikh Juggut Singh e del magistrato hindù Hukum Chand.

L’amore, il denaro, la politica

Appena calò l’oscurità, Nooran raggiunse il bandito Juggut al solito posto. Gli spari li colsero di sorpresa: ebbero appena il tempo di abbassarsi nell’erba, quando Juggut riconobbe la banda di rapinatori guidati da Malli, che, per vendicarsi della sua assenza, lanciarono alcuni bracciali della refurtiva, proprio nel suo giardino. Anche il magistrato Hukum Chand, dopo aver bevuto whisky in abbondanza ed essersi appartato con la giovanissima prostituta musulmana, sentì i colpi.

Dal momento che la polizia voleva chiudere velocemente il caso, Juggut e Iqbal, divennero i due principali indiziati: il primo perché era figlio di un rapinatore e la notte dell’omicidio aveva violato la condizionale, il secondo perché, essendo di dubbia religione, avrebbe potuto fomentare rivolte; così dopo appena due giorni, vennero arrestati.

L’irragionevole arresto passò in secondo piano, quando dal Pakistan arrivò un treno carico di cadaveri di sikh. Gli abitanti del villaggio, inorriditi, guardavano dai tetti il treno fermo alla stazione dimenticando addirittura le loro mansioni: nelle stalle le bufale muggivano doloranti, mentre nelle case le madri non davano cibo ai figli che ne reclamavano. Verso sera, la polizia chiese di casa in casa cherosene e legna per bruciare le salme.

A quel punto il magistrato, decise che era giunto il momento che i musulmani lasciassero il villaggio per raggiungere il campo profughi di Chundunnuger dal quale sarebbero poi stati caricati su un treno per Lahore in Pakistan, come da tempo succedeva nei villaggi limitrofi.

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In una notte di Settembre, le piogge monsoniche ingrossarono a tal punto il fiume che alcuni abitanti furono costretti ad assistere a uno spettacolo devastante: lungo il fiume galleggiavano corpi esanimi di bambini, donne, uomini e anziani, oltre che di buoi ancora aggiogati. Segno dell’ennesimo massacro in un villaggio circostante. 
A fomentare gli abitanti rimasti a Mano Majra contribuì l’arrivo di un soldato imberbe, che incitava la popolazione a ricambiare i musulmani, con un “dono” equivalente, inviando al di là del confine un treno di cadaveri musulmani. Li aizzò raccomandandoli di uccidere due musulmani per ogni sikh morto, di stuprare due donne per ogni donna violata della loro popolazione.

Malli e la sua banda, assetati di sangue, non se lo fecero ripetere ed accettarono di buon grado la proposta del giovane soldato.

L’ispettore locale comunicò al magistrato che il treno carico di musulmani di Mano Majra, sarebbe partito l’indomani. Solo a quel punto il freddo Hukum Chand ammise a se stesso la tenerezza provata per Haseena Begum, la giovane che mai aveva violato durante i loro incontri, la cui unica colpa era essere musulmana. Annientato, si maledisse per averla lasciata partire e come convertitosi, finalmente, liberò Iqbal e Juggut, fino a quel momento incarcerati ingiustamente.

Riuscirà il giovane Juggut a salvare Nooran sul treno per Lahore e ad impedire un nuovo eccidio?

L’India e le sue contraddizioni

La sapiente traduzione di Marco Restelli, racchiude descrizioni incantevoli attraverso le quali è possibile immaginare l’India e viverla attraverso i dialoghi.

Dal romanzo emerge una critica pungente nei confronti degli Inglesi: vengono associati all’“articolo 420” che nel codice penale indiano è l’articolo relativo reato di frode. Quindi l’improvvisa concessione dell’indipendenza indiana ha volontariamente favorito gli scontri tra Sikh e musulmani?

È quanto Khushwant Singh suggerisce per mezzo delle sagaci riposte di Iqbal, il suo l’alter ego nel romanzo: come ha confessato in molte interviste, le idee del giovane sono le sue stesse idee.
Inoltre nel romanzo Iqbal è un assistente sociale, che ha studiato all’estero, sikh ma con i capelli corti, l’autore invece è stato avvocato e scrittore, ha studiato all’estero, è agnostico, ma porta tradizionalmente turbante e capelli lunghi.

Le contraddizioni dell’India e la rigidità delle caste affiorano in prigione, nella disparità di trattamento tra Iqbal e Juggut. Il primo è un babu, cioè un uomo istruito che, grazie alla sua posizione, riesce a ottenere una stanza arredata, persino in prigione; Juggut invece è figlio di un dacoit mandato a morte due anni prima, colpa per la quale sarà costretto a mangiare e dormire per terra.

Altro personaggio ambiguo è Hukum Chand, il quale inizialmente incarna la dissolutezza: beve molto whisky, frequenta prostitute. Successivamente, realizzerà di essere innamorato della giovane e di aver permesso la sua partenza a causa della sua indolenza. Nei confronti dei musulmani del villaggio si atteggia come Ponzio Pilato, sceglie il male minore, si limita ad eseguire un ordine, non ha tempo per soffrire e riflettere perché – la vita è così- dice.

I due gechi caduti sul suo letto simboleggiano sikh e musulmani, egli invece è un cinico spettatore delle sofferenze altrui…

Autore: Marianna Alvaro

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