Il genio dell’abbandono di Wanda Marasco
Scritto Da Francesca Ielpo il 1 Agosto 2015
Soffiare su movimenti e sguardi e darne forma nello spazio è il potenziale dell’arte. Artista è chi riceve la moltitudine di questi e sa incastonarli in significati con colori, parole e materiali. Wanda Marasco, scrittrice e regista italiana, racconta ne Il genio dell’abbandono (Neri Pozza, pp.352, €17,00) dell’arte e di un artista: lo scultore napoletano più famoso dell’ottocento-novecento, Vincenzo Gemito. Lo stesso nome è simbolo della sua vita: dall’abbandono dei suoi genitori fino al suo peregrinare in stati emotivi che lo vedono gemere, urlare. Perciò viene definito pazzo e chiuso in manicomio. Ma presto fugge, portandosi sempre con sé la sua Napoli, alla volta di Parigi, Roma, in cerca dell’arte e della meraviglia. Vincenzo Gemito è l’ignorante, il paesano che vuole modellare forme e dipingere alla perfezione. In realtà vuole definire il suo genio, che è la forma malconcia della malinconia dell’abbandono. Nel carcere del suo cercare mai si dimentica dei suoi genitori adottivi, di sua moglie Nannina, di sua figlia Peppinella, del suo amico artista Antonio Mancini, con cui delinea le forme del Verismo. Nei loro quadri i poveri diventano filosofi, ne è un esempio Mastu Ciccio, il padre di Gemito, modello per i suoi quadri, modello di vita:
Mi pare fatale che io vado a Parigi con l’immagine del patre n’capa. È soluzione di forza. Nella qualità del patre ci sta un Gemito rintanato ca vo’ asci con scarica gloriosa e arte ben fatta. Con la faccia del patre compio vigilanza e sto accorto al penziero del dominio e della significanza. […] Ora il treno mi porta con la castità morale. Vado nella direzione veramente buona? L’anima mia l’appendo al creato e a Parigi la metto sotto la lente di ingrandimento. Non vorrei che fosse altro baratro con Vicienzo e la valigia del diavolo.
Tra deliri e paure va e conosce. Va e conosce l’élite artistica del tempo, va e conosce la Storia, va e scopre. Va e accetta commissioni, va e crea opere come il Pescatorello, la Chimera.
La critica
Il libro è la biografia romanzata di Vincenzo ma è anche poesia. Il racconto in terza persona lascia spesso spazio all’agitato flusso di pensiero dello scultore, che pensa e scrive nel suo diario. Nei capitoli finali prende invece voce la figlia Peppinella che alla morte del padre ricrea la figura paterna spiegandosi a se stessa lui e la sua arte. L’inizio è la fine e la fine è l’inizio. Con lo stesso passaggio inizia e termina il romanzo:
L’albero non è il letto su cui è disteso, ma lui si sente come una scimmia nascosta tra le ramaglie. Prima che il respiro diventi un fiato maldestro, Vicienzo Gemito comincia a pregare a modo suo. «Sono caduto come niente? Non ho il cervello spalancato a una speranza. Vedo sotto la porta una grande linea di attraversamento color olio. Ci devo passare». Arriva la spinta del vento che è stato il genio della sua vita a ogni momento. «Tu stai qua? Per soccorso?» Si vergogna di dover morire davanti a lui. Vorrebbe sollevarsi e seguirlo senza mai fermarsi. Un po’ di sbieco alle lenzuola il vento tira il respiro profondo che lui conosce bene. «Se fai squarcio nel corpo e nel cervello io entro e ti porto»”.
Il linguaggio simbolico è tanto espressivo quanto poetico: merito di una scrittrice poetessa che ha frequentato l’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Wanda Marasco descrive ogni cosa per immagini e le carica di simboli attraverso dialetti, descrizioni, espressioni pazze e dirette, che nulla hanno a che vedere con tante letture torbide e pacate contemporanee. Marasco dà maggiore consistenza a una vita attraverso il napoletano (lingua della scrittrice stessa), vivo violento e figurativo. Il napoletano è, quindi, una ricchezza in questa lettura: dà valore aggiunto alle esilaranti descrizioni del pensiero di Gemito. Il genio dell’abbandono è sicuramente un romanzo complesso che merita studi attenti e articolati (si spera che gli studiosi di arte e letteratura lo prendano presto in considerazione) per la carica di nessi tra Storia e Arte o tra il sottoinsieme Potere e Arte, a cui Gemito, abbandonato e genio del suo abbandono, sempre fa appello nella sua ricerca di autenticità e perfezione:
L’arte? Nostra malatia tanto amata. Mai ho smesso di penzare alla perfezione, e con questo voglio dire al punto della criazione materica ca addeventa spirito. Ma sto sotto la tirannia della società e non sono mai stato vile sotto protettore. Sto sotto la tirannia della società. Tu quanti inganni per campare? Tradito l’opera? Nella cattiva coscienza di obbedire alla moda? Tu che hai fatto pe’ magna’?