La notte di Lisbona di Erich Maria Remarque La notte di Lisbona di Erich Maria Remarque

La notte di Lisbona di Erich Maria Remarque

La notte di Lisbona di Erich Maria RemarqueUn libro in ristampa è un ricordo dimenticato che all’improvviso  riprende spazio nella mente, divenendone il pensiero nuovo e caposaldo. È la novità vecchia, che porta con sé l’odore del conforto per le cose ritrovate. Questo si pensa leggendo La notte di Lisbona (pp. 272, €15,00) che Neri Pozza ha deciso di rimandare in circolazione. L’autore è il tedesco Erich Maria Remarque, lo stesso del noto Niente di nuovo sul fronte occidentale. Soldato della prima guerra mondiale, scrittore le cui opere furono bruciate durante il Nazismo, anche ne La notte di Lisbona, pubblicato per la prima volta nel 1962, condanna una politica bellica che si muove per le vie della violenza e dell’ingiustizia, Si è dentro la Seconda Guerra Mondiale, con in scena Hitler e la sua mente malata, le fughe verso la Svizzera, la Francia, Lisbona alla volta dell’America:

La costa portoghese era l’ultimo rifugio dei fuggiaschi per i quali giustizia, libertà e tolleranza contavano più che la patria e l’esistenza. Chi non riusciva a raggiungere di lì la terra promessa dell’America era perduto e costretto a dissanguarsi nel groviglio dei rifiutati visti d’entrata e d’uscita, degli irraggiungibili permessi di lavoro e di soggiorno, dei campi d’internamento, della burocrazia, della solitudine, della terra straniera e della orribile indifferenza generale di fronte alla sorte dei singoli, la quale è la solita conseguenza della guerra, della paura, della miseria. A quel tempo l’uomo non era nulla, un passaporto valido tutto.
Schwarz decide di regalare i suoi passaporti falsi al protagonista del libro. In cambio vuole la sua compagnia, per quella sera, prima che la nave diretta verso l’America parta. Chi è Schwarz? A questo interrogativo rispondono le ore trascorse con lui. È sicuramente un uomo che a bisogno di raccontare, di condividere per passare a un altro l’autenticità della propria identità, a Lisbona, in qualche bar. Schwarz è il nome che ha ricavato dal suo passaporto falso. Il nostro protagonista, riporta in prima persona tutta la conversazione avvenuta con quell’uomo, fino a dimenticare che si è in un feedback e ci si crede intrappolati nella vita del personaggio che parla: nelle sue emozioni, nei suoi incontri, nei suoi pericoli, nelle sue decisioni e in sua moglie, Helen. Helen decide di seguire suo marito. Insieme attraversano la Francia, la Spagna e prima che alla volta dell’America, si fermano a Lisbona. Proprio il giorno prima che il protagonista del libro e Schwarz si incontrassero. Ora, il giorno dopo, quel giorno, Helen non c’è più. Amore, guerra, politica, ossessioni private, enigmi pirandelliani: leggendo La notte di Lisbona si ha la sensazione che qualcosa nelle nostre vite ci sia sfuggito, come a dimenticare qualcosa di essenziale nel trascorrere dei giorni. Il porsi davanti a nessuna certezza (non si ha più un’identità, un luogo, una famiglia, degli amici) ripone lo sguardo sulla drammaticità e la passione per la vita. Si è davanti a un racconto di guerra che non è così lontano dai pensieri quotidiani (per quanto i lettori possano essere occidentali viziati e imborghesiti) di fronte al desiderio di fuga, al rimpianto per un amore perduto, a un governo che non piace e che abusa. Schwarz tramanda la sua vita, interrotta un giorno fa, a un altro uomo. A quell’altro uomo non rimane che intrecciare ulteriori significati a una nuova esistenza, cominciata a Lisbona, in qualche bar, con il sogno di una tirannia alle spalle e della possibilità di libertà.
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Dopo la guerra ritornai in Europa. Dovetti superare qualche difficoltà per ricostruire la mia identità; in quel tempo infatti c’erano centinaia di ex nazisti che cercavano di perdere la loro. Il passaporto dei due Schwarz lo regalai a un russo che era fuggito oltre il confine. Dio sa dove sia andato a finire. Di Schwarz non ho più saputo nulla. Una volta mi recai anche a Osnrabùck e chiesi di lui, benché avessi dimenticato il suo vero nome. Ma la città era distrutta, nessuno lo ricordava, nessuno aveva voglia di occuparsene. Mentre ritornavo alla stazione, mi parve di riconoscerlo: gli corsi dietro, era invece un maestro di posta ammogliato che mi disse di chiamarsi Jansen e di avere tre figli.
   

Autore: Francesca Ielpo

Mi laureo in Lettere presso la Sapienza di Roma, per poi continuare con una magistrale in Editoria e Scrittura. Giornalista pubblicista, mi dedico anche all’insegnamento dell’italiano per stranieri. Prima in quella città sporca e bella, ora in Turchia, dove profumo sempre di mare ma annuso la guerra.

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