La parola contraria di Erri De Luca La parola contraria di Erri De Luca

La parola contraria di Erri De Luca

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“Se la mia opinione è un reato, continuerò a commetterlo”

La Tav va sabotata” e, nello stesso momento in cui entrano in circolazione queste parole, dei ragazzi appartenenti ai No Tav vengono arrestati mentre trasportano materiale destinato, secondo gli investigatori, a danneggiare i cantieri dell’Alta Velocità. Ma andiamo con ordine: il progetto Treni Alta Velocità (Tav) in Val di Susa prevede la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Perché i No Tav si scontrano con questo obiettivo? Perché quelle montagne da perforare sono giacimenti di amianto e pechblenda, e per i costi (considerata la poca utilità di quella linea). Chi osa pronunciarsi in favore di un sabotaggio in termini così diretti? Erri De Luca, lui, lo scrittore napoletano da sempre attivista, la cui onestà intellettuale è riconosciuta anche all’estero (sì, anche l’autore della preghiera laica Mare nostro che sei nei cieli, dedicata alle vite finite nel Mediterraneo, quelle di qualche giorno fa, quelle di sempre). Membro dei No Tav (insieme ad Ascanio Celestini, Wu Ming I e Chiara Sasso scrive Nemico pubblico. Oltre il tunnel dei media: una storia No Tav), De Luca rilascia questa gravissima dichiarazione al quotidiano Huffington Post in un intervista alla giornalista Laura Eduati, il primo novembre 2013. Dopodiché viene rinviato a giudizio per istigazione a delinquere. Il 28 gennaio 2015 comincia il processo. Nel frattempo scrive il suo pamphlet, La parola contraria (Feltrinelli editore, pp. 64, 4.00€) in cui tutto fila liscio a favore di un articolo 21 dimenticato, o troppo ostentato, tant’è che si preferisce parlare di libertà di parola contraria:

Il diritto di pubblica parola in questo processo sta stretto nel punto più chiuso dello strumento a fisarmonica, che è una democrazia. E però i tempi cambiano, che lo si voglia o no. Sta a ognuno la scelta di averne parte, diritto, ricordo, oppure lasciarli andare, i tempi, alla loro deriva e starsene al riparo. Nell’aula del tribunale di Torino il 28 gennaio 2015 non sarà in discussione la libertà di parola. Quella ossequiosa è sempre libera e gradita. Sarà in discussione la libertà di parola contraria, incriminata per questo.
Tutto è così chiaro e logico, non possono esistere menzogne in quello che Erri De Luca scrive. Eppure le sue parole da letterario, ok, da intellettuale impegnato, suscitano paura. È evidente l’assurdità dell’accusa, di cui neanche perdo tempo a specificarne la forma. Si tratta palesemente di una censura alla Grande fratello di Orwell o di Stati democratici da cui dietro alle sbarre delle loro prigioni si intravedono visi di giornalisti e scrittori che insultano, deridono, denunciano l’asfissia di libertà. Erri De Luca in poche pagine descrive il suo rammarico per un evidente disfunzionamento dei meccanismi civili, lo fa in modo lieve, né con arroganza, né con violenza. Non conta sui suoi avvocati, ma sui suoi lettori:
Considero un abuso di potere qualunque argomento che coinvolga la mia biografia di cittadino. Qui si processa uno scrittore per le sue frasi. I testimoni che possono presentare sono quelli che hanno letto le mie pagine. Non ne disturberò nessuno. Se crederanno testimonieranno con un gesto, una firma, una lettura in piazza.
Né, nel dubbio, recrimina le sue parole:
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 Quelle virgolette attorno alle mie parole sono delle manette. Non posso liberarle da lì, ma quelle manette non hanno il potere di ammutolirle. Posso continuare a ripeterle e da quel mese di settembre 2013 lo sto facendo su carta, all’aria aperta e ovunque. Se la mia opinione è un reato, continuerò a commetterlo.
Interessante, a tal proposito è ciò che scrive sul sito della Feltrinelli dopo il processo, il 02 febbraio 2015. Nell’Appendice del libello si trova l’intervista che istiga ad atti terroristici e l’atto dell’avvocato dello scrittore, Marco Rettighieri.

Autore: Francesca Ielpo

Mi laureo in Lettere presso la Sapienza di Roma, per poi continuare con una magistrale in Editoria e Scrittura. Giornalista pubblicista, mi dedico anche all’insegnamento dell’italiano per stranieri. Prima in quella città sporca e bella, ora in Turchia, dove profumo sempre di mare ma annuso la guerra.

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