Caporetto. Diario di una guerra di Angelo Gatti
Nella giornata, niente di nuovo. È così che il colonnello Angelo Gatti apre le sue annotazioni nel diario storico del Comando Supremo dell’Esercito italiano, alla data del 24 ottobre. Fatidica, perchè mentre alle 18 il generalissimo Luigi Cadorna conversa con lui di probabile bluff nemico per un’annunciata offensiva su Tolmino, il fronte è già rotto, dalle prime ore della mattina e i nostri reparti sul medio Isonzo sono in rotta
È un clima di fiducia indolente che si respira a Udine, mentre vanno in rovina i sacrifici di due anni di assalti sanguinosi a posizioni più forti ed è cominciata la ritirata che si fermerà solo sul Piave, oltre cento chilometri più indietro, il 12 novembre.
Sua Eccellenza è tranquillo, sorridente, scrive il trentasettenne ufficiale di Stato Maggiore. Fino alle 21, in quella sede cruciale si avverte solo l’eco di un forte cannoneggiamento. Si ignora che alle 8, dopo una preparazione d’artiglieria di nemmeno sei ore, quindici divisioni austro-tedesche avevano sfondato il punto più debole dello schieramento isontino, proprio tra Plezzo e Tolmino, come aveano anticipato ufficiali disertori, rivelando ore e modalità dell’attacco.
L’avanzata decisiva della divisione slesiana del gen. Lequis su Caporetto fu una lama nel burro, nelle valli, mentre le nostre truppe aspettavano il solito attacco per cime. Alle 15 la cittadina era occupata, l’Isonzo superato. Alle 18 gli austro-tedeschi erano a Staro Selo, sul fiume Torre, mentre Gatti registrava niente di nuovo, come si legge in Caporetto. Diario di guerra, nuovamente pubblicato da Il Mulino (384 pagine) nel centenario del primo conflitto mondiale.
Offre la prospettiva dall’interno del nostro esercito, diventato un’armata possente di quattro milioni di uomini, ma afflitto da gravi difetti costituzionali e tattici. Innanzitutto, la stanchezza dei soldati, provati da undici offensive sul Carso, dal 24 maggio 1915, a rompere il filo spinato con il petto, come voleva la folle retorica post risorgimentale di alcuni generali, inadeguata di fronte al martirio imposto dai trinceramenti blindati delle pietraie carsiche, dai cannoni di grosso calibro e dalle raffiche falcianti delle mitragliatrici.
Contribuiva, poi, lo sconsiderato assetto delle prime linee, troppo affollate di uomini e schierate offensivamente. I germanici, invece, mantenevano solo un velo di vedette, disponevano il grosso nelle seconde linee, più lontane dall’artiglieria nemica e usavano le terze come capisaldi per un eventuale ripiegamento (lezione che metteremo a frutto sul Piave, nella vittoriosa resistenza del giugno 1918). L’ostilità e le incomprensioni tra Cadorna e il gen. Capello, comandante dell’enorme 2a Armata, fecero sì che mentre il primo era certo che i suoi ordini di esclusiva difesa fossero stati attuati scaglionando le forze sul campo, il secondo si era ostinato a tenere tutti avanti per favorire una controffensiva strategica e accerchiare gli avversari avanzanti.
Così le sue artiglierie, rimaste in linea per appoggiare il contrattacco, erano state travolte dalle sorprese tattiche dei tedeschi: piccoli reparti molto armati che penetravano a fondo, lasciando che a liquidare i nuclei di resistenza provvedesse il grosso delle truppe retrostanti. La comparsa di nemici nelle retrovie seminava il panico: in tutto il disastro di Caporetto gli italiani caduti furono diecimila. I prigionieri, invece, ben trecentomila.
Solo a tarda notte del primo giorno Cadorna ebbe sentore della rovina e prese le misure che consentirono la ritirata rovinosa ma non definitiva dietro il Piave. Ebbe il torto però di nascondere le sue responsabilità (una condotta delle operazioni insensibile ai sacrifici umani) e gli errori dei generali sottoposti, attribuendo il disastro militare alla “viltà” dei soldati. Qualche caso isolato di cedimento ci fu, ma la gran parte delle truppe attese invano in alto un nemico che sciamava in basso. Molti resistettero, fino alla fine delle munizioni. Comunque, si batterono.
Dopo Caporetto, il col. Gatti fu segretario particolare del gen. Cadorna, nominato componente del Consiglio di guerra interalleato di Versailles. Promoveatur ut amoveatur. Promosso, per essere rimosso dal Comando. Al suo posto, il napoletano Armando Diaz. Batterà gli austro-ungheresi al termine di un’offensiva lanciata proprio il 24 ottobre 1918, esattamente un anno dopo il giorno fatale di Tolmino, Plezzo, della stretta di Saga, una posizione determinante abbandonata senza sparare un colpo, perchè al gen. Cavaciocchi era arrivata la notizia, infondata, di un aggiramento.
Caporetto. Diario di una guerra è disponibile per l’acquisto su Ibs a 12,75 euro.