Intervista Marta Lock, autrice di Ritrovarsi a Parigi
Ecco la nostra esclusiva intervista a Marta Lock, autrice di Ritrovarsi a Parigi
Quanto c’è di autobiografico nella storia della protagonista Lizzy?
Lizzy è una donna molto contemporanea e caratterizzata da tutte le zone di luce e di ombra tipiche dei tempi in cui viviamo, perennemente in bilico tra razionalità ed emotività, trattenuta nel lasciarsi andare ma con un gran bisogno di riuscire a farlo e quando non sa cosa fare o come reagire, fugge; ecco questo è ciò che la mia protagonista ha di me, forse cercando di aiutare lei a superare i blocchi e le insicurezze che la tenevano ferma ho in qualche modo aiutato anche me nella mia crescita personale, costruendo un percorso importante che porta all’ascolto attento delle ragioni degli altri e alla comprensione di alcuni atteggiamenti che riceviamo e basta, valutando solo quanto ci fanno bene o male, senza soffermarci invece sul perché vengono messi in atto. E la storia del nonno Bruno, soprattutto quella che lo descrive bambino alle prese con le difficoltà di una famiglia numerosa del secondo dopoguerra, i sacrifici e il suo desiderio di un futuro diverso sognando di fare il marinaio: è la vera storia di mio nonno, che ha novantanove anni ed è ancora in vita e che mi ha raccontato nel corso degli anni la sua affascinante vita. Anche la storia d’amore con Silvie, la donna della sua vita per la quale sceglie di fermare il suo girovagare per mare e andare a vivere a Parigi, affrontando tutte le difficoltà che la sua nazionalità gli avrebbe procurato, è quella che ha legato i miei nonni fino alla morte di mia nonna, anche se loro hanno vissuto in Italia. Poi ho condito gli avvenimenti con la fantasia ma di base c’è anche tanta realtà, e la reazione di tenerezza e di meraviglia che ha avuto Lizzy ascoltando i racconti quotidiani di Bruno, è stata per molti versi simile alla mia quando ho appreso quale tesoro racchiudeva mio nonno nella propria memoria.
Visti i temi di stretta attualità, quali lo stalking e il ruolo della donna, saprebbe indicarci alcuni elementi che le hanno fornito l’ispirazione per il suo racconto?
Sono particolarmente sensibile al tema dello stalking e alla violenza sulle donne al punto di voler organizzare un evento che avrà luogo questo autunno per dire basta; sono stata per un anno redattrice di cronaca per un quotidiano on line e le notizie di donne uccise o picchiate da persone a loro vicine e delle quali si fidavano mi hanno estremamente colpita. Ritengo che questo sia un tema sociale gravissimo perché evidenzia chiaramente che non solo si è perso il senso della realtà ma anche quello del valore della vita degli altri…sono stata educata in parte da mia nonna, donna d’altri tempi forte e determinata, perciò ho intatti i valori del rispetto nei confronti del sesso femminile che avevano tutti prima di iniziare a perdere il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Nel romanzo c’è però anche un altro tema importante che è quello del razzismo e del pregiudizio, infatti Silvie ha combattuto per amore di Bruno, immigrato italiano visto come il fumo negli occhi dai suoi genitori nobili al punto di farsi diseredare; Hélène, la madre di Lizzy, che fugge con Tom, cantante hippie che non piaceva affatto a Silvie e che poi abbandona lei e la piccola Lizzy poco dopo la sua nascita e infine la protagonista che deve superare i propri blocchi innamorandosi di un ragazzo di colore. Quindi tanta passione e tanto amore in una storia familiare dove le persone lottano e combattono per sentimenti veri e importanti, e non si fanno la guerra l’un l’altro fino ad arrivare agli estremi che siamo tristemente abituati a sentire nei telegiornali. In questo romanzo ho voluto descrivere i percorsi di tre donne, la nonna, la madre e Lizzy, che, ognuna nella propria epoca ha messo l’amore al primo posto e ha sfidato le regole e le convenzioni per inseguire il proprio destino sentimentale, perché la chiave di lettura che ho della vita è positiva, voglio trasmettere un messaggio di speranza a chi legge i miei romanzi, come a dire che, sebbene esistano le cose brutte e spiacevoli ce ne sono però anche tante belle…mi definisco una realista ottimista, non sono una scrittrice che entra negli aspetti crudi della realtà. Le cose esistono e lo dico, ma non sto lì a soffermarmi sul bicchiere mezzo vuoto, piuttosto tendo a far vedere quello mezzo pieno perché credo che la positività sia l’unica cosa che renda la vita bella…nonostante tutto.
Quali autori ritiene abbiano maggiormente influenzato la sua sensibilità di scrittrice?
Adoro Jorge Amado per la sua meravigliosa capacità di raccontare le storie senza appesantirle con una scrittura complicata o contorta, lo definisco un cantastorie d’azione, nei suoi racconti tutto succede come in un film, non si sofferma eccessivamente su dettagli descrittivi che rallentano lo svolgimento dei fatti: lui è in assoluto il mio preferito. Poi di Francis Scott Fitzgerald adoro la capacità incredibile di portare il lettore dentro gli anni Venti, come se aprendo le pagine dei suoi libri ci si trovasse immediatamente vestite con abiti con le frange e capelli acconciati con il tirabaci se donne, e con giacca e cravatta e borsalino in testa se uomini, e si sentisse l’odore acre di fumo e di alcol dei locali clandestini ai tempi del proibizionismo. Infine mi piace molto Lucia Etxebarrìa, una scrittrice di origine basca, perché estremamente calata nella realtà contemporanea, anche lei ha uno stile di scrittura molto dinamico, d’azione; lei mostra il bicchiere mezzo vuoto, gli aspetti più crudi della realtà moderna, esplora gli estremi anche attraverso il linguaggio, infatti usa senza problemi il gergo di strada, cosa alla quale invece io, per mia scelta ho rinunciato.
C’è un messaggio in particolare che vorrebbe lasciare al suo lettore?
Il primo messaggio importante credo sia quello di mettersi in una posizione di maggiore ascolto degli altri, perché a volte alcuni atteggiamenti che ci colpiscono come degli schiaffi hanno un loro motivo per manifestarsi, questo non vuol dire che devono essere giustificati ma quanto meno possiamo comprendere le ragioni dalle quali scaturiscono che spesso sono diverse da come le riceviamo, rendendole perciò forse meno dolorose. Il secondo che bisogna combattere per ciò in cui si crede e per conoscere se stessi: il percorso di crescita a volte può essere doloroso soprattutto perché scava e trova punti deboli e ferite aperte, ma se rifiuteremo di effettuarlo non potremo mai evolvere e sciogliere quei nodi che ci tengono ancorati agli ostacoli impedendoci di superarli e, soprattutto, che il cambiamento non è mai sinonimo di debolezza semmai di forza. Il terzo ma non ultimo è che nonostante tutto, nonostante i tempi in cui viviamo, le paure, le follie alle quali assistiamo, è l’amore a muovere il mondo, amore nel senso più totale del termine: da quello familiare a quello per la persona che si sceglie, da quello per gli amici che ci sostengono a quello per se stessi, da quello per una cosa in cui crediamo a quello che ci da la forza di perdonare anche quando sembra impossibile.