Il gioco degli specchi, romanzo in cui si riflette una nuova indagine di Montalbano
Il gioco degli specchi (ed. Sellerio, 9,80 € su Feltrinelli.it) di Andrea Camilleri è l’ultimo – in ordine di tempo, ma sicuramente non ultimo della serie – romanzo del commissario Montalbano, appena uscito e già in vetta alle classifiche di vendita. Ma non solo per l’essere famoso, quanto invece, in questo caso, per la qualità che Camilleri ritrova dopo qualche uscita un po’ fiacca.
I personaggi ritrovano un vigore che si vedeva solo nelle prime uscite della serie, così come la trama, in qualche modo già vista e quindi già super collaudata, ci porta in una suspense degna del nome del commissario.
Il titolo del libro è l’oggetto principale di quello che troveremo all’interno del racconto, ovvero un gioco di specchi in cui tutto quel che accade sembra fatto apposta per allontanare il commissario dalla verità.
A partire da un deposito, vuoto da mesi, in cui qualcuno ha fatto esplodere una bomba. Perché? Le indagini partono da qui, e arrivano alla casa a fianco, un condominio in cui abitano alcuni pregiudicati, un pezzo grosso mafioso della famiglia dei Sinagra e Stefano Tallarita, che però al momento è in carcere, che è al servizio del primo, Carlo Nicotra. A pochi metri c’è un altro villino ora abitato dai Lombardo, lui rappresentante di computer, lei, Liliana, lavora in un negozio di Montelusa.
Inoltre sono vicini dello stesso Montalbano, e un giorno Liliana rimane in panne, e il commissario si offre di darle un passaggio. Quando controlla che cosa non va nella macchina, tuttavia, si accorge che è stata manomessa. Anche qui, perché?
Le storie cominciano ad incrociarsi anche se non si trova un filo comune, ma il legame sembra essere Arturo Tallarita, fratello di Stefano, che lavora nello stesso negozio in cui lavora Liliana. Montalbano, per quanto lei cerchi di sedurlo a causa delle trascuratezze del marito, dopo qualche tentennamento resta come sempre lucido, anche perché ci sono troppi elementi sospetti che gli fanno drizzare le antenne.
Ma è anche vero che tutti questi specchi per le allodole vengono messi per far perdere le tracce di qualcosa, ma cosa? Tanto per complicare la pista, vengono ricevute lettere anonime che indirizzano verso piste improbabili e viene trovato un proiettile nella carrozzeria dell’auto dello stesso commissario. E la tensione da latente diventa sempre più manifesta lungo la narrazione.
Dunque a livello stilistico si manifesta un ritorno alle origini, nella complessità dell’intreccio, l’arguzia del commissario e dei personaggi, lo sberleffo al potere. Alcune cose degli ultimi romanzi qui sono tralasciati e si ritrova un ritmo che pareva perduto coinvolgendo il lettore fino all’ultima pagina.
Il tema non è nuovo e fa da contorno alla realtà siciliana, in cui si nascondono – ma non troppo – interessi mafiosi legati allo spaccio di droga, così come una bellissima ed elegante signora che prova a ammaliare Montalbano, ma che si rivela non essere totalmente quella che è. Il personaggio di Liliana però è ben costruito, mentre il commissario resta ugualmente fidanzato a Livia, che però qui appare solo in sporadiche telefonate, che tra l’altro finiscono pure sempre un po’ a bisticci. E ci si chiede, un po’ affezionati al commissario, per quanto resterà ancora con lei.
Egli ritrova tutta la sua umanità, tra i pranzi golosi specialmente di pesce e gli arancini di Adelina, ma anche la sua generosità da una parte e freddezza per l’indagine dall’altra.
La lettura scorre piacevolmente, è fluida e rilassata e strappa sorrisi per la grande ironia dalla quale è pervasa.
Anche Fazio, aiutante del commissario, ha un ruolo sempre più deciso e importante.
Tuttavia, anche per chi non avesse mai letto un romanzo su Montalbano, non è un problema. Camilleri infatti introduce il protagonista con poche pennellate scritte, delinea il personaggio nella sua maniera più classica e fa capire al lettore immediatamente di che tipo si tratta, chi sia, e già non si sente più straniero alla narrazione. Anche il suo dialetto fa parte ormai della nostra letteratura e non riserva più difficoltà di comprensione. Montalbano infatti parla normalmente in questa lingua, ma non ama il campanilismo, per cui il livello di comprensione rimane sempre alto, pur facendoci immergere completamente nella realtà siciliana.
Alla fine, comunque, sono il bene e il male, il lato oscuro e più impenetrabile di ognuno di noi, persino dei personaggi positivi, a far venire a galla il vero colpevole. La mafia e la droga sono solo un contorno per introdurre questa contrapposizione, che pur mischiandosi è quella che caratterizza ogni vicenda e ogni persona.
Per la terza volta Camilleri propone una copertina di un’opera di Antonio Donghi: “La canzonettista”, del 1925. Per dare un tocco in più.
Consigliato per la lettura.
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