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Studio dell’ambiente (studio effettuato davanti allo specchio)

Scivola la seta come il fiume solitario delle tue gioie…
Finora ho testato la tua passione per questo psicopatico mondo della parola, la tua abnegazione per la scrittura, talmente forte da impedirti di tradirla. Ma ci siamo riferiti alla scrittura considerando il prodotto finale, le tue poesie, i racconti, i romanzi… Stanotte analizzeremo un altro aspetto di questo antico, antico, mestiere, vale a dire l’ambiente ideale per uno scrittore.
È un antico mestiere, nel senso più crudo della parola. Chiedilo a Mosè, che va di nuovo di moda. Fu lui a usare questo mezzo per leggere al suo popolo la parola di Dio. Scrisse tutto sulle sacre tavole, con passione e devozione, non si fece scappare una virgola. Il primo scrittore della storia? Chissà come la penserebbero gli egiziani…
Prima di ogni tipo di analisi degli ambienti, è meglio dire che per ogni persona è una storia diversa, o la storia è diversa, se ti suona meglio.
Ogni tanto si pensa allo scrittore come ad un eremita che, da solo nella sua soffitta, si strappa i capelli perché non gli vengono in mente le parole, non le parole che servono in quel momento, ma quelle che una strana voce nella sua testa gli ha ordinato di trovare.
Quando eri ragazzino sognavi di diventare come gli scapigliati milanesi, devoti all’unica donna della loro vita, la scrittura, fino alla più dura delle prove, la morte.
Come spiegarti adesso che l’ambiente ideale risiede dentro lo scrittore e non intorno a lui?
Come quando ti sei trovato su strade statali deserte o in alta montagna, o in alto mare, con fogli strappati dal retro di riviste, bollette dell’EDF, buste del latte sventrate, e penne trovate in giro, e hai scritto i brani più belli che ti siano mai capitati. Altre volte, in casa tua, al caldo, con tutte le comodità che questa vita ti fa pagare a caro prezzo, non hai scritto nulla.
C’è un tipo di ambiente, proprio un ambiente mentale, del quale a volte non puoi fare a meno. Se ti viene a mancare, ti manca tutto il resto e tu non sei più nulla. Ognuno ha il sacrosanto diritto di ricrearsene uno, ma io non sono la persona migliore per darti un consiglio su questo argomento perché per me scrivere vuol dire essere libero. Ci sono due tipi di scrittori: quelli come me, che scrivono per essere liberi e provano un’immensa gioia nel farlo; e quelli come te, che scrivono per essere compatiti, e provano un’immensa angoscia nel farlo.
Alcuni scrittori portano con sé un registratore e gli parlano come alla più intima delle loro amanti. Altri, ancora fedeli alle vecchie maniere, portano in tasca un quaderno e una penna, e non se ne dimenticano neanche per andare al gabinetto. Ogni giorno si passa molto tempo al gabinetto, si deve considerare che è uno dei momenti più intimi e solitari della giornata.
Quando eri ragazzino quel vecchio scrittore con una sola mano che ti fece leggere il suo manoscritto – il titolo era Un the al gelsomino – ti disse che fare lo scrittore era molto facile. L’importante era scrivere sempre, in ogni momento del giorno, prendere appunti, avere sempre un’agendina ed una penna in tasca.
Lo scrittore ti regalò il suo vecchio laptop della IBM assieme al manoscritto del suo romanzo. E ti disse: «Tieni ragazzino, forse a te sarà più utile che a me».
Quel libro ti fece capire che tutti i libri che avresti scritto sarebbero serviti a rendere felice qualcuno, chiunque, anche il primo ragazzino conosciuto per caso, non aveva importanza. Capisti il significato connotativo delle parole (vale a dire un significato “altro” che le parole possono assumere, rispetto a quello denotativo) e per ogni pagina che leggevi t’immaginavi la fatica di quell’uomo che con una sola mano l’aveva scritto, copiato e impaginato, soltanto per darlo alla prima persona che gli si presentasse davanti.
Scrivere non è soltanto un mestiere ma un modo di essere e di pensare. Come il pittore che quando ti guarda pensa ai tuoi colori, il poeta pensa ai tuoi sospiri e lo scrittore pensa alla tua voce e alle tue mani, sempre.
Hosé Hierro, un poeta spagnolo del secolo scorso, a tal proposito diceva che le poesie potrebbero esistere anche senza i poeti. Questi sono meri trasmettitori, traduttori in linguaggio umano. L’uomo che è nel poeta canterà ciò che ha in comune con gli altri uomini. Ciò che tutti gli uomini canterebbero se avessero in se stessi un poeta…
Lo scrittore di romanzi è soltanto un poeta con più pazienza e migliore memoria.
Un ambiente ideale, si direbbe, è il silenzioso studio di casa tua, con una tazza di caffè che ti macchia le ultime pagine, appena uscite dalla tua nuova stampante, e un leggero vociare dal cortile sotto la tua finestra. Eppure hai conosciuto scrittori che preferivano lavorare seduti al tavolino di un bar in pieno centro, con la musica alta e spintoni di ubriachi molesti che gli cadevano intorno come alberi abbattuti in una foresta di pensieri e di idee piovane. Non è forse il loro scrivere un modo per non sentirsi soli? Non è per questo che anche tu scrivi? Chi non ha paura della solitudine non ha bisogno di fare rumore con i tasti, riesce ad ascoltare il proprio silenzio serenamente. Gli scrittori sono tutti soli in qualche modo.
C’è una condizione che però ti sfido a confutarmi: il tempo, il tuo tempo, quello che nessuno eccetto i tuoi personaggi ti dovrebbe portare via. Questa è una vera sensazione di angoscia, una preoccupazione, è vero. Ma supponiamo che adesso qualcuno ti dica: «Tieni Frank, queste sono le chiavi del tempo! Fermalo quando vuoi e completa tutti i tuoi lavori in sospeso senza che nessun impegno, nessun capufficio, niente di niente, ti interrompa!».
Se ciò accadesse, sono sicuro che non sapresti cosa mai scrivere, anche con tutto il tempo nelle tue mani, te ne staresti lì alla tavola a giocherellare con le chiavi e aspettare che qualcuno ti dica: «Allora, matto di uno scrittore, sei ancora là a giocare con le chiavi del tempo! Andiamo, è ora di andare in banca!» oppure «È ora di andare in aeroporto, a prendere tua sorella» o «È ora che ti cerchi un lavoro meno angosciante».
Jean Rossignol, un amico mio, dice che scrivere è come il sesso, che è bello soltanto quando sembra rubato. Se te lo regalano o se ce l’hai lì, sotto il naso, non ti piace più e finisce per rovinarti la vita.
Ambiente, per concludere, è una parola chiave nel tuo lavoro. Si può distinguere un ambiente interno ed uno esterno. A volte ti sei chiesto se essere uno scrittore voglia dire saperli mescolare con armonia?
E il nodo della cravatta è fatto.

Autore: Franco Gallo

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3 Commenti

  1. A me capita di scrivere qualche volta per passione e non mi ci ritrovo in quello che dici. Infatti io riesco a scrivere solo quando sono in vacanza o in viaggio, su un treno o su un aereo, quando cioè ho la testa sgombra dai pensieri quotidiani, solo allora riesco a pensare a qualcosa di più “alto”. Perciò riguardo quello che dice il tuo amico Rossignol, potrei ribaltare il discorso.

  2. Scrivere fa paura. E’ sempre, sempre, un tentativo minaccioso di connetterti con i tuoi fantasmi. A volte, è vero, questi ectoplasmi incomprensibili ti fanno visita mentre il paesaggio corre fuori dai finestrini dell’auto, mentre i pensieri vagano in libertà, oppure mentre leggi qualcosa, qualsiasi cosa, e ti serpeggia nella testa un’intuizione. Ne prendi nota. Ma a volte li cerchi, i tuoi fantasmi, e questi si sottraggono come antiquate maliarde, e si fanno beffe di te. Scrivere fa paura quando la connessione è interrotta. Scrivere è esaltante quando li hai afferrati, i perfidi fantasmi, e li tieni, e ne fai quel che vuoi. Ambiente, tempo, folla o solitudine, c’è sempre il lavoro della scrittura, fatica che segue inesorabile per chi non si accontenta mai.

  3. Caro Antonello,
    Non volendo, il tuo intervento racchiudeva già le risposte ai tuoi quesiti. Non credo si debba giudicare quale delle nostre visioni sia quella giusta. Una maniera giusta di vivere una propria passione non esiste, ne esiste una per ognuno, tutto qui. Tu stesso hai detto “A me capita di scrivere qualche volta per passione”. Io e Rossignol invece scriviamo per disgrazia.

    Ne approfitto per ringraziare la mia collaboratrice fidata, Nadia, per i suoi spunti di riflessione sempre profondi e degni di attenzione.
    F.

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