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Il finale perfetto – parte II

il finale perfetto – parte I

Salvatore, l’uomo che voleva diventare un santo

(Racconto denunciato alla polizia dalla rivista Donna Cristiana)

Nella Roma del ventinovesimo secolo il traffico faceva impazzire la gente e le automobili, e tutti quanti facevano parte di una giostra di schizzi e colori.

L’uomo che voleva diventare un santo si chiamava Salvatore, era un napoletano emigrante in cerca di fortuna. Nelle tasche aveva due caramelle all’anice, un biglietto di diecimila lire e una fotografia sexy di Orcanta, la suora che lo aspettava al palazzo. Il palazzo era al centro della città, di fronte al Vaticano; ogni tanto i fedeli si sbagliavano ed entravano lì dentro cercando la Sacra Sindone. Allora la suora gentilmente gli spiegava che nel palazzo non avevano sacre sindoni, neanche asciugamani puliti perché si morivano di fame da quando il re era stato spodestato dal Papa, ma, se volevano, potevano ugualmente lasciare un’offerta che era sempre gradita. Tutto questo, Salvatore che voleva diventare un santo, non lo sapeva. Se ne andava fischiettando lungo i viali secolari della metropoli più antica del mondo e gli mancava l’odore del mare di Mergellina e la musica del mercato rionale dietro l’Ascalesi.

-Oh, lei deve essere Salvatore, quello che vuole diventare un santo!
-Si, sono io, sono proprio io. Sono in anticipo?
-Niente affatto, niente affatto… Orcanta la stava aspettando da tempo. Ha bagagli, un cappello da lasciare nella cappelliera? Del pane che le è avanzato e che vuole buttare via?
-Mi dispiace, non ho neanche gli occhi per piangere !- disse Salvatore. Il maggiordomo lo invitò a sedere sulle scale e lui obbedì perché l’obbedienza era il primo passo per diventare santo. Aspettò due ore che la suora finisse di prepararsi e finalmente la vide apparire in cima alle scale. Sentì prima il suo profumo, vaniglia e fiori, poi i suoi passi, leggeri e lenti, poi sbirciò sotto la gonna. Anche se voleva diventare santo, non seppe resistere, quelle scale sembravano fatte apposta e quella gonna sembrava essere il sipario del palcoscenico del Signore.
-Salvatore… Finalmente, sei arrivato! Ti stavo aspettando!- Orcanta era l’immagine della santità.
-Allora perché non ti sei vestita prima, disgraziata di una suora!
-Andiamo Salvatore, non sarai per caso arrabbiato con me!
-No, come potrei? Se mi arrabbio non posso più diventare santo… Hai mangiato oggi, Orcantina?
-Ho mangiato ieri, mi sembra.
Allora Salvatore, il santo, prese il suo biglietto di diecimila lire e chiamò il maggiordomo. Lo mandò a comprare del pane, del prosciutto fresco e tre uova alla coque.
-Mi raccomando, non dimenticare le uova alla coque sennò ti faccio tornare indietro!
-Dove sei stato tutti questi anni Salvatore? Il palazzo è caduto nella disgrazia, vi entrano soltanto i fedeli che sbagliano strada, in cerca della Sacra Sindone.
-Sono stato in Polinesia Francese -La Sacra Sindone ?!- a prendere pesci e sole, ma poi ho deciso di diventare santo e sono tornato a Roma. Roma è la città dove tutti vogliono diventare santi, soltanto perché hanno paura di diventare diavoli. Oh, i diavoli…
-Sccc, zitto, per carità! Non dire quella parola ad alta voce o il Papa ci farà giustiziare domenica mattina nella piazza! Lo sai che domenica ci sono le impiccagioni nella piazza, vero!
-Certochennò!- rispose Salvatore meravigliato.- Che cos’era la meraviglia? Era forse quello il primo passo verso il sogno? -Sono stato via tanto tempo, non conosco più le usanze di questa città di matti.
-Parlami della Polinesia, ti prego! Disse Orcanta, poi si tolse la parte superiore della veste, sfoggiò un completo di lingerie rosso fuoco, fece infiammare la fantasia del povero Salvatore, che dovette resistere perché voleva diventare santo. Appena Orcanta si rimise addosso qualche cosa, se pur tremante, lui rispose: -Ne parliamo… un’altra volta della, della Polinesia. Adesso ti devo illustrare il mio progetto. Il motivo per cui sono partito da Napoli per venire ad aiutarti. Voglio aiutarti a salvare il tuo palazzo. Farlo tornare come era prima, prima che io partissi, tanti anni fa.
Orcanta era una suora scordarella, non ricordava più il giorno in cui Salvatore era partito per la Polinesia; sapeva che a Mergellina la sua famiglia si era disperata a lungo, sua madre si era consumata le dita con il rosario, come un pescatore con la lenza. Ma non era troppo sorpresa, sapeva che, se Salvatore voleva diventare santo, per prima cosa doveva ritornare nel suo Paese. Lo guardò intenerita e accaldata, non voleva essere più una suora, voleva soltanto fargli vedere la sua lingerie rossa.
-Non ha importanza se il palazzo non è più quello di una volta, non preoccuparti mio dolce Salvatore…

Incurante delle provocazioni di Orcanta e sprezzante del pericolo che correva per mettere in atto il suo piano diabolico, Salvatore si strinse il nodo della cintura e aspettò che calasse la notte per introdursi nelle sale del Vaticano.
Appena varcò il cancello nero dell’ingresso dovette addormentare tre doberman con le uova alla coque avvelenate, poi si infilò la maschera di Luis Guerrero e iniziò a strisciare lungo la parete più buia che trovò. Tutte le finestre erano blindate, inoltre c’era un sofisticato sistema di raggi ultravioletti che gli avrebbe impedito di entrare nelle stanze private tanto facilmente, ma Salvatore ne sapeva sempre una più del diavolo, e del Papa. Il suo piano era di entrare attraverso le fogne. Appena arrivò al tombino privato di Sua Santità (lo riconobbe per le iniziali S.S.), tirò una bella boccata, pensò alla mamma a Mergellina e con una forza e un coraggio ritrovati si infilò lungo il canale, stretto e maleodorante. Gli sembrò di scivolare in un’altra epoca, di ritornare indietro nel tempo. Era buio e fetido, non si vedeva nulla e si sentiva puzza di pastaececi. La pastaececi era il piatto preferito di Sua Santità…
Salvatore riuscì a venire fuori dalle fogne passando attraverso una grata di ferro battuto risalente ai secoli d’oro. Era nei bagni privati di Sua Santità, quando se ne accorse sorrise al soffitto, come fanno tutti quando vogliono ringraziare il Signore, così i soffitti sono pieni di sorrisi.
Salvatore approfittò del fatto che tra tante stanze fosse capitato proprio in quella da bagno e si fece una bella doccia per togliersi di dosso quell’odore di fogna terribile. Sotto le scarpe aveva i vermi e le figurine dei calciatori. Il sapone privato di Sua Santità profumava di lavanda e limone di Sorrento, si rilassò talmente che gli risultò difficile uscire dalla vasca da bagno. Il marmo della vasca da bagno non era per nulla freddo.
Si asciugò con un asciugamano pulito, talmente morbido che si sentì di nuovo tra le braccia di sua madre, consumate dal rosario e dalle lacrime. “Perché”, si chiese Salvatore, “perché mai soltanto i ricchi possono sognare di tornare tra le braccia della madre, e noi poveri invece siamo costretti a emigrare in Polinesia Francese?”
I suoi vestiti profumavano di audacia ma puzzavano anche di fogna, così li lasciò nella cesta dorata dei panni sporchi assieme a una nota con il suo indirizzo e la raccomandazione di utilizzare lo stesso ammorbidente usato per gli asciugamani. Si buttò addosso la prima cosa che trovò nell’enorme armadio di avorio e cristallo e si avviò piano piano verso la parte addormentata del palazzo.
Arrivò al secondo piano, su una porta lesse SERVI FEDELI, poi SERVI FEDELISSIMI, poi SERVI FEDELISSIMI QUASI SCHIAVI, e infine SCHIAVI. Più avanti c’era un corridoio immenso, era come la strada della luce o verso la luce. Lo imboccò…
Nel frattempo al palazzo disgraziato di piazza San Pietro, Orcanta si provava altri completini di lingerie per far impazzire Salvatore una volta tornato a mani vuote dalla sua missione impossibile: “Lo sconforto del fallimento lo spingerà tra le mie braccia e dimenticherà per sempre questa storia di diventare santo”.
Un attimo di esitazione, come se potesse ascoltare quelle parole, fece quasi cambiare idea al nostro Salvatore. Ma il suo spirito indomabile, pieno di forza polinesiana e napoletana, lo fece andare avanti incurante delle prime luci del giorno che già bagnavano le vaste finestre immacolate.
Una porta di ottone, pesante come un peccato mortale, si aprì a fatica davanti a lui e dall’odore pastorizzato di pastaececi Salvatore capì subito di essere entrato nella stanza giusta.
-Sua Santità? Sua Santità?! S-U-A SANTI-TAAÀ!!?
-Eh. Oh. Eh. Che succede, mio Dio! Chi sei, giovane dagli aspetti latini, e perché indossi le mie sacre vesti private?
-Chi, io, Dio? No, magari potessi già diventare Dio, per ora vorrei diventare santo. Sono Salvatore e sono venuto per rapirla e portarla nel palazzo di Orcanta.
-Ma io non posso lasciare il Vaticano, cerca di capirmi figliolo. Domattina -che dico?- fra qualche ora c’è la riunione con gli altri papi.
-Quali altri papi? Tu sei l’unico papa al mondo!
-Questo lo pensi tu. Andiamo, sii ragionevole, lasciami dormire un’altra mezzoretta, ti prego!
Ascoltare Sua Santità che lo pregava lo fece sentire quasi un santo, forse era sulla strada giusta. Ma doveva andare fino in fondo se voleva ottenere quello che voleva. I polinesiani glielo avevano detto: “Non importa la strada che intraprenderai, Salvador, purché questa ti porti alla verità. Ricorda che la strada verso la santità è lunga e piena di insidie, ma le insidie non si presentano mai nella loro forma originale…”.
Aveva appena conosciuto la verità sui papi e stava per ottenere la santità in un solo colpo. Gli bastava portare Sua Santità dall’altra parte della strada. Purtroppo il suo interlocutore non sembrava sentire ragioni, si era avvolto nelle calde trapunte di piuma d’oca e si era rimesso a dormire. Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare il nostro Salvatore per diventare un vero santo? Erano anni che sognava quel momento, cercò di contenere la sua ira, il suo rancore verso la santità che gli stava voltando le spalle, ma non ci riuscì…
Al palazzo, Orcanta sentiva il pizzichio degli string che le passavano tra le natiche e nervosamente aspettava Salvatore, fissava la strada con la sete di un pesce fuori dall’acqua. Soltanto a mezzogiorno Salvatore apparve dietro la coltre nebbia di automobili e cavalli con in spalla un grosso fagotto di piume d’oca.
-Ecco qua! Te lo avevo promesso. Adesso tutti verranno qua per chiedere l’autografo del Papa e ti lasceranno tante di quelle offerte che non dovrai più morire di fame, mia bella Orcanta. La suora lo guardò con devozione e proibizione, Salvatore sentì l’erezione più inopportuna della storia dei santi rovinargli tutti i suoi progetti, fino allora perfetti. Anche Orcanta se ne accorse e schiuse ancora le labbra. Sua Santità si divincolava nel suo fagotto e chiedeva giustizia, ma per lui la strada per la verità era ancora molto lontana.
Era mezzogiorno del ventinovesimo secolo, Salvatore fu distratto dal maggiordomo del palazzo che correva verso di lui, lasciò cadere il fagotto e ascoltò. L’ascolto era il secondo passo verso la santità.
-Salvatore, presto! La riunione dei papi, la stanno cercando!
-Ma non sono io il Papa. Sua Santità è qui, in questo fagotto di piume d’oca!
Dal grosso piumino arrotolato si sentì mugolare: “Mmm, Mmmm…”
-Salvatore, lei adesso indossa le vesti di Sua Santità; a loro non importa chi ci stia dentro a quelle vesti. Inoltre, Sua Santità ci serve qui al palazzo per uscire dalle nostre disgrazie!
-D’accordo!- disse Salvatore orgoglioso e rinvigorito dal profumo di lingerie. -Ci vado. Dopotutto è il momento che ho aspettato per tutta la vita! Finalmente sono diventato un santo…
-Mmmm, Mmmmm, Mmmmmm!
Quando si trovarono da soli, il maggiordomo, Orcanta e Sua Santità si guardarono in faccia perplessi e gioiosi, chi per la fame che stava per finire, chi per l’eccitazione di trovarsi da sola in una stanza con un uomo semi intrappolato e con indosso la sua lingerie sexy, e chi invece perché non aveva mai visto della lingerie così sexy su nessuna delle sue suore. Orcanta si sbarazzò in fretta del maggiordomo, lo mandò a comprare vaniglia e fiori per l’occasione, e si avvicinò al bel fagottone di piume d’oca con una timidezza provocatoria. Quando Sua Santità la vide così da vicino si dimenticò in un attimo della riunione internazionale dei papi e disse: -Or canta dunque, Santo è colui che si lascia tentare dalla santità! Oh benedetti diavoli, che sotto questo rosso mi trascinerete in paradiso, ascoltate la preghiera del buon Salvatore, dategli le mie vesti e fate di lui un santo! Oh diavoli, Oh diavoli…
Nel frattempo, nell’opulenta sala riunioni del Vaticano…

Autore: Franco Gallo

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6 Commenti

  1. Se fossi un buon cristiano direi che il Papa non cederebbe mai alla tentazione, ma dato che non lo sono, tifo per una storia con Orcanta

  2. Il finale dovrebbe chiudere la triade sui tre passi per diventare Santo, bisognerebbe dire qual è il terzo passo. Il primo era l’obbedienza, il secondo l’ascolto e il terzo?
    A proposito, Orcanta dev’essere uno schianto! Mi piacerebbe conoscerla, ma ho chiuso con le suore…

  3. Il terzo passo verso la santità è il silenzio che comprende e annulla gli altri due. Il mutismo di Salvatore alla riunione dei Papi lo circonda di un’aura di perfezione, tutti gli riconoscono il titolo di Primissimus, nessuno gli contesta alcunché visto che lui tace e il suo silenzio vale tutto e il contrario di tutto. Nel silenzio anche la lingerie di Orcanta si armonizza con la santità e Salvatore può approfittare delle sue grazie perché ai santi tutto è permesso, Omnia munda mundis, tanto che un “pensiero stupendo” convoglia gli sguardi di Orcanta e Salvatore verso Sua Ex Santità e quella piuma insidiosa che gli svolazza attorno…

  4. Molto originale, grazie Nadia!
    Tra l’altro avevo già notato la tua competenza leggendo una recensione su voltarepagina.
    Se sceglieremo questo finale (col tuo permesso) il tuo nome apparirà sulla raccolta in qualità di “co-autrice geniale”.

    …Nel frattempo nell’opulenta sala riunioni del Vaticano si svolgeva la più importante riunione interpapale della storia. Salvatore, inorgoglito e con in dosso le sacre vesti di Sua Santità, ascoltava con attenzione le argomentazioni dei suoi illustri nuovi colleghi.
    – Fratelli, per favore, ascoltiamo quello che ha da dirci Sua Santità, dopotutto siamo suoi ospiti e spetta a lui la prima parola.
    Le ventisette teste calve si voltarono all’unisono. Ma Salvatore tacque.
    -Salvatore! Vuoi forse farci capire, con il tuo silenzio, che non hai intenzione di aprire la riunione con uno dei tuoi interessanti racconti sulla Polinesia francese? Parla fratello, dicci la verità. Qual è il terzo passo verso la Santità? Noi sappiamo tutto di te, non credere di potercelo tenere nascosto, e non dimenticare che tu sei Salvatore, l’uomo che voleva diventare un Santo. E tutti noi, una volta o l’altra, siamo stati nei tuoi panni…
    Allora Salvatore chinò il capo in segno di umiltà ed ammise: – Il terzo passo verso la Santità è…
    -Fermi tutti! Guardate là, il palazzo di Orcanta sta andando a fuoco, Sua Santità deve aver gettato la lingerie infuocata tra le piume d’oca. Presto fratelli, chiamate i pompieri!
    Tutti i papi corsero alle finestre per spegnere il fuoco con le preghiere, non era per loro il tempo di sapere quale fosse il terzo passo per diventare Santo. Il terzo passo era il silenzio.
    La lingua di Salvatore restò muta, come se stesse assaporando il corpo di Cristo o il sangue degli uomini. Era avvolto da un’aura di perfezione. A vederlo così, i suoi colleghi si dimenticarono del fuoco e gli riconobbero il titolo di Primissimus. Nessuno poteva opporsi adesso alla sua Santità perché il suo silenzio valeva tutto e il contrario di tutto.
    Gli furono confezionati vestiti e scarpe di vitellino, gli fu portata la lingerie di Orcanta, ancora calda, perché tutto diveniva puro per coloro che erano puri, e poi gli fu portata Orcanta.
    Quando tutti furono usciti e si furono mescolati con la gente normale, Salvatore sussurrò all’orecchio della sua Orcantina: -Omnia munda mundis, et amore Dei…
    E così, mentre la grossa finestra immacolata si chiudeva sulla piazza e sulla gente, un “pensiero stupendo” convogliò i loro sguardi indiavolati verso Sua ex Santità, ancora piena di piume dalla testa ai piedi…

  5. Co-autrice geniale rientra molto bene nel campo dell’umorismo più selvaggio. Sei un bel tipo!
    Viva la scrittura!
    Nadia

  6. La scrittura, questa folle signora con la quale facciamo l’amore tutti i giorni senza sapere che noi siamo soltanto un mezzo, un seme di Dei lontani che attraverso la nostra passione possono arrivare a lei, accarezzarla fino a quando il sonno, come in questo momento, ci impone di smettere fino a stasera…
    Buona notte a tutti gli scrittori e le scrittrici che capiteranno su queste pagine sincere.
    F.

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