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È sempre terra di Taranta, ma è il ballo non più l’insetto

osservazioni tarantismo - CaponeBallare, ballare, ballare, fino allo sfinimento, per cacciare fuori dal corpo il veleno della taranta, il ragno leggendario che faceva uscire di senno, soprattutto le donne. Il tarantismo è un fenomeno minuscolo ma anche complesso, sostiene Federico Capone nell’introduzione al volume che ha realizzato per le edizioni di famiglia, “Osservazioni sul tarantismo e altri scritti sulla musica popolare salentina”, illustrato in bianco e nero, con alcune immagini inedite, nella sezione iconografica in coda al volume (Capone Editore, Lecce, marzo 2016, 128 pagine, 10 euro).
È minuscolo perché ha preso le mosse “da una minutissima vicenda regionale, anzi locale”, come scriveva Ernesto De Martino nel 1961, ne “La terra del rimorso”. E questo ci fa pensare quanto il profondo Salento dovesse sembrare un luogo estremo agli occhi dei centrosettentrionali, nei primi anni Sessanta. Lontanissimo dai loro costumi, un mondo alieno. È complesso, allo stesso tempo, poiché giunge fino a noi partendo dal basso Medioevo, collegandosi peraltro ad un’età ancora più remota storicamente.

Incontro di culture, di simboli e di discipline

Dire tarantismo è dire Mediterraneo, un’area geografica in cui si incontrano tre continenti (Europa, Africa, l’Asia minore) e che infatti si pone sulla linea di demarcazione tra diverse religioni: paganesimo, cattolicesimo, ebraismo, Islam.
Comunque si voglia considerarlo, esso è un fenomeno carico di significati simbolici, risente di magia naturale e di esoterismo, si può “leggere in chiave positivista o neoumanista o, ancora, con un approccio antropologico e sociologico” (parole, queste ultime, di Federico).

L’estinzione

Minuscolo o complesso, il tarantismo è estinto; era fenomeno in bianco e nero e non ha resistito all’avvento del mondo a colori (parole del recensore, questa volta, non dell’autore). Quello rivelatosi agli occhi curiosi di De Martino non c’è più. Aveva resistito a secoli di guerre, persecuzioni, controriforme e governi sopravvivendo pressochè intatto fino al Duemila, ma è di colpo scomparso, con l’eccezione di qualche debole traccia, mantenuta in vita artificialmente, come un simulacro. Tamburelli e ritmi ossessivi non servono più a togliere ossessioni a donne vestite di bianco che rotolano a terra. In parte è rimasto puro antiquariato, un evento d’altri tempi, da riprese su pellicole di celluloide.

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Il “rito” è scomparso?

Tutto questo fa dire agli studiosi che la taranta non c’è più. Una prova? Chi sognerebbe di parlare oggi di tarantismo come “fenomeno antropologico”? La terra del rimorso è diventata semmai terra del rimpianto (dei tempi andati). Dove sono il ragno e il morso? Cosa n’è stato del “veleno” da espellere, che oggi al più chiameremmo elegantemente “tossina”. Il tarantismo è “andato”, come i carretti agricoli con le ruote di legno, trainati dagli asini. E le anziane con le vesti scure e il velo nero legato sotto al mento. Siamo nel millennio della globalizzazione, anche il Salento è Europa. Di quale rimorso dovremmo parlare? Della taranta è rimasta la “Notte”. Osservando quanto sopravvive del “rito”, si vedono solo danze, musica, spettacoli, festival. Ma i giovani che saltano tra il pubblico del concertone non ballano certo per “liberarsi”.

Una voce fuori dal coro

De Martino scriveva che il fenomeno è sempre plasmato dalle stesse forze che lo studiano e  lo raccontano. Capone aggiunge che “mentre il tarantismo viene modellato e descritto dall’esterno, contemporaneamente si rafforza grazie ai protagonisti che lo vivono e lo mantengono in vita, adeguandolo a tempi e luoghi”. Federico contesta quindi l’estinzione totale del tarantismo: non è morto, si è solo modificato. Non siamo capaci di cogliere le trasformazioni che si sono verificate? Va bene, ora è “pizzica, ma resta pur sempre storia”. Storia nuova, certo, ma non esaurita: l’oggetto della ricerca “non si esaurisce, si cerca” e il volume “offre strumenti per navigare nuovi tratti di storia, nuove vie, fornendo una serie di testimonianze già note nella prima parte, e letture nuove nella seconda”.

Autore: FeL

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