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“L’innocente”: essere regina vuol dire restare sola

L'innocente  Alison WeirStoria, religione, amore, discriminazioni sessuali (la parità era lontana nel 1500), costumi (e abiti bellissimi): tutto in un romanzo, della Londinese Allison Weir, “L’innocente”, riproposto da Beat Edizioni, a Ottobre 2015.

La condannata è solo una ragazzina: sentenza capitale, decapitata o bruciata sul rogo, sarà la regina a scegliere. La colpa? Avere accettato la corona che doveva andare a Maria e non volere ripudiare la fede anglicana, perché più della morte teme il giudizio severo contro gli spergiuri, nell’aldilà.

Lady Jane Grey ha solo sedici anni e ha regnato sull’Inghilterra per nove giorni, dal 10 al 19 luglio 1553. L’avvio del racconto la trova nella Torre di Londra, dov’è stata regina e ora è prigioniera. È il 1554 e sebbene la condanna faccia riferimento all’alto tradimento, la regina Tudor ha detto che non sarà eseguita; una pura formalità, sempre che la giovinetta rinneghi la religione protestante e scelga pubblicamente quella cattolica apostolica romana.

Un coro di voci a raccontare L’Innocente

In modo corale e con una progressione narrativa originale, il racconto viene condotto dal punto di vista di numerosi protagonisti della vicenda, a ognuno dei quali è riservato un capitolo, lasciando che la storia acquisisca col tempo una chiara identità, un pezzo di puzzle dopo l’altro. Molte sono le figure femminili che parlano di Jane, l’innocente contro cui si sono scagliate le ire della Regina: Jane stessa, sua madre, l’amorevole balia Ellen, e la sovrana Mary. Pochi, invece, gli uomini, come il suocero John Dudley, duca di Northumberland, il vero responsabile della scalata azzardata al trono. Infine, compassionevole e dai sentimenti inaspettati, il personaggio che dovrebbe rivestire il ruolo più sinistro: il boia.

Una delle prime a narrare è la marchesa di Dorset, Frances Brandon, mamma di Jane, che fin dalla nascita, nel 1537, non riesce a perdonarle la grave onta di non esser nata maschio, come il marito, Henry Grey, duca di Suffolk avrebbe tanto desiderato. La durezza materna, accentuata dalla nascita di altre due femmine, e l’atteggiamento del padre, che la educa come un maschietto, incidono sul suo carattere molto risoluto, per una ragazza di quei tempi. Nel romanzo, è evidente la dipendenza totale dagli uomini e l’obbedienza assoluta dovuta alla famiglia.

La bambina cresce, mentre a corte c’è da perdere la testa per il gran giro di consorti del re Enrico VIII, ben sei. È il prozio di Jane, un uomo grande e grosso, nel ritratto appeso in casa Grey. Nonostante gli abiti sontuosi, le sembra un gigante, con un gran pancione e l’aria spaventosa: un orco che fa spiccare il capo alle regine. E quando lo incontra per la prima volta, resta stupita dalle storielle lascive che il vecchio si ostina a raccontare, senza che la piccola possa comprendere i doppi sensi.

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Età elegante per i ricchi, quella pre-elisabettiana, ma incline all’asprezza. Il principino viene castigato per interposta persona: non potendo toccare il futuro re, puniscono un nobile coetaneo. A caccia, papà Grey obbliga la figlia ad uccidere una cerva e la reazione disgustata della bambina lo irrita ferocemente. Ancora più pesante l’intransigenza della madre: non solo non è riuscita ad avere un maschio, ma la terza femmina è gobba. Comanda che la tengano lontana dalla sua vista. Per la prima volta, a 10 anni, la primogenita Jane le tiene testa.

Quarta in linea di successione, dopo i cugini Tudor, Edoardo, Maria, Elisabetta, la giovane Grey può ambire al trono solo a particolari condizioni ed è questo il progetto del duca John Dudley, consigliere del giovane erede. Sa bene che Edward ha la tisi e poco da vivere, quindi, eliminata in qualche modo la sorellastra maggiore, il credo anglicano sarebbe al riparo dall’essere scalzato come religione di Stato, cosa certa se la cattolica Mary succedesse al fratello. Nel caso di Elisabeth, non è la fede d’ostacolo alle ambizioni di Northumberland ma il carattere indocile, sotto l’apparente atteggiamento irrispettoso. Non resta che giocare la carta Jane, che perciò deve necessariamente stringere un vincolo coniugale col figlio. Dodici anni la sposa, sedici lo sposo. Lui non la ricorda affatto, mai notata. Per lei è solo uno sciocco venuto dal niente, vanitoso, viziato, col labbro sporgente e lo sguardo costantemente accigliato.

Nei nove sventurati giorni di regno, la regina giovinetta farà in tempo a decidere una cosa (non consentirà mai al marito d’essere incoronato re) e a capirne un’altra: essere regina significa restare sola.

Intanto, Londra si dichiara per Lady Maria ed anche il suocero l’abbandona al suo destino. Deve morire quando ha a malapena imparato a vivere.

Autore: EffeElle

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