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Intervista a Frank Iodice

 

Frank Iodice si sottotitola alla fine di Kindo “scrittore sfortunato”. Non è un po’ presto, data la sua giovane età, per definirsi tale oppure è l’ironia di Jean Rossignol, il protagonista del suo romanzo, che continua a provocarci?
L’età, come tutti sanno, è un concetto molto relativo. Domani, 8 febbraio del 2011, compirò ventinove anni; sono giovane, è vero, infatti, la definizione di scrittore sfortunato non è dovuta alla mia età. Come lei lascia intendere con la sua domanda, ho tutta la vita davanti per potermi affermare e/o per scrivere tanti altri romanzi. Mi sono definito così perché, per ragioni economiche, non sono ancora un vero scrittore, cioè uno che scrive e basta.
Chi è Frank Iodice: uno scrittore che è anche fotografo o un artista dell’immagine innamorato della scrittura?
Mi chiede questo perché ha scoperto che faccio anche delle esposizioni fotografiche. Nella mia famiglia ci sono grandi fotografi, appassionati rivoluzionari del settore come mio zio e mio padre, dei quali avrei voluto prendere il testimone, ci ho provato ogni tanto, ma Frank è senz’altro uno scrittore. Sento di esserlo da sempre, e sono felice di sapere almeno quello che voglio.
Senza dubbio la mia passione più grande, quella che Rossignol chiamerebbe “missione”, resta sempre la letteratura, anche se, alla fine, non ha importanza il mezzo che usi per onorare l’unica e vera forma d’arte, che secondo me è l’amore.
Lei ha avuto la capacità di rendere irresistibile un personaggio folle come Rossignol al punto da farlo quasi sembrare normale. La capacità di questo personaggio di utilizzare la propria vita per trovare l’ispirazione del romanzo è strabiliante. Quanto c’è della creatività di Jean Rossignol in Frank Iodice?
Sono felice di essere riuscito nel mio scopo: rendere normale la follia e folle la normalità.
Jean Rossignol, oltre a dimostrare che c’è una forte differenza tra follia e pazzia, mi ha insegnato a credere nella mia arte, a qualunque prezzo. In lui ritrovo me stesso, è vero, ma non posso rivelare fino a che punto. Tra l’altro, lei conosce i sofisticati processi creativi che precedono la creazione di un romanzo: tutto è vero e falso allo stesso tempo, voci, volti, strade, pensieri e parole.
La follia è il filo conduttore di Kindo, e lega Rossignol e Fontaine fino a confondere la parte del medico con quella del pazienze e viceversa, ma ad un certo punto si teme di poter superare la differenza tra follia e normalità. Dov’è il limite tra le due?
Lo scopo di Rossignol è guarire Fontaine dalla sua follia, non il contrario. Per questo si potrebbe intendere che il medico è il vero paziente, non di certo lo scaltro marinaio/fotografo/scrittore/ produttore/uccellino Jean Rossignol, che la sa fin troppo lunga sulla propria follia-non follia.  È Fontaine il vero protagonista del libro.
Il dottor Marcel Fontaine è una sorta di alter ego, non posso fare a meno di lui in ogni mio libro.
Eccoci, la follia! Il tema-chiave, a quanto pare… Non mi permetto di iniziare in questa sede una disquisizione su cosa realmente sia la follia e come si possa accarezzare come si accarezzerebbe un pescecane. Lo lascio fare al dottor Fontaine. Ma se dovessi parlare di un limite tra questo particolare stato dell’essere e la cosiddetta normalità, probabilmente mi limiterei ad invitare i lettori a non cercarlo affatto. Perché è proprio cercando di porre questo confine che si finisce dall’altra parte.
Il personaggio che più mi ha lasciata senza fiato è stato suor Aurelia. È stato così delicato e profondo nello svelare questa figura, che non ci si aspettava avesse poi un ruolo così importante per Jean Rossignol. Come crea i suoi personaggi, esiste cioè un metodo per farli nascere e per dar loro la vita?
Sapere che suor Aurelia l’ha lasciata senza fiato mi ha dato due tipi di soddisfazione. Dal punto di vista tecnico, capisco che il lavoro di costruzione del personaggio è ben fatto. Dopo la sua nascita, casuale, autonoma, come sempre, curo un personaggio copiando ogni paragrafo nel quale si parla di lui o lui stesso dice qualcosa che lo caratterizzerà nel corso della storia, in una lista che ho chiamato “Caratterizzazione Personaggi”.
Per scrivere un romanzo occorre molta organizzazione, sulla parete di fronte al mio tavolo ci sono decine di liste come questa. “Cronologia”, “Concetti in sospeso”, “Descrizione Personaggi”, “Dati per dissertazione finale di Fontaine”, “Trama”, “Descrizioni e correzioni in sospeso”, “Ordine dei paragrafi”, eccetera.
Dal punto di vista puramente umano, invece, sapere che ha amato un mio personaggio mi dà la stessa gioia che darebbe ad una madre nel sapere che si è amato suo figlio/a.
Aurelia è una suora, ma è anche una donna che ha bisogno di essere capita e soprattutto amata. Descrivere ogni suo gesto è stata un’esperienza nuova, a tratti ho davvero desiderato che esistesse e che bussasse con le unghie anche alla mia porta.
Quando ha capito che voleva scrivere e chi è stato, ammesso che ce ne sia uno, l’autore da cui si è sentito ispirato?
Il primo libro che ho letto, quando avevo forse sei o sette anni, è stato “Il richiamo della foresta” di Jack London. Quel giorno ero nella mia camera all’ultimo piano di un palazzo di cemento, mi ero chiuso dentro per ribellarmi a non mi ricordo cosa, e per la noia iniziai a leggere, scoprendo che potevo fuggire, evadere da quella camera, vivere le avventure del cane Buck. Tra l’altro, il fatto che in quel libro il protagonista fosse proprio un cane mi aprì gli occhi sulla possibilità di vedere le cose da altri punti di vista; non solo, capii anche che un giorno avrei fatto provare agli altri la stessa sensazione e decisi che sarei voluto diventare uno scrittore.
Nel corso degli anni, la mia è diventata sempre più una necessità, un bisogno giornaliero di dare amore sotto forma di parole, e lasciare una traccia di me in questo folle mondo di persone normali, accompagnato da una sete di sapere, approfondire determinati argomenti, soprattutto dopo l’università, quando ho iniziato ad avere più tempo per la lettura.
I grandi scrittori che mi hanno fatto compagnia, e talvolta mi hanno salvato la vita, sono soprattutto autori dell’Ottocento, inizio Novecento, Poe, Baudelaire, Sartre, Van Gogh (che pochi conoscono come scrittore). Ma ci sono anche scrittori dei tempi nostri che hanno saputo resistere alla perdita degli antichi valori, quei valori che la scrittura ha la capacità di portare con sé da secoli. Mi piace lo spirito picaresco di Eduardo Mendoza, il male di vivere di Charles Bukowski, la fusione medicina-thriller di Robin Cook, o gli studi psichiatrici nei saggi del dottor Vittorino Andreoli…
Grazie allo studio di diverse lingue straniere, poi, ho avuto la possibilità di appassionarmi a scrittori europei vari, soprattutto spagnoli e francesi, e la fortuna di leggerli nella loro lingua originale. Comunque ogni autore presente nella mia libreria è lì per qualche ragione che soltanto lui ed io conosciamo.
Amo i miei libri e tutti gli altri libri che posseggo, come dei figli. Un filosofo, del quale (ahimè) non ricordo il nome, ha detto che dovunque ci sono i tuoi libri c’è la tua casa. Non la pensa anche lei come me?
Cosa farebbe Rossignol se fosse al posto suo, per cancellare l’appellativo di “scrittore sfortunato”?
Ah Ah Ah, lui se ne fregherebbe, le direbbe: “Grazie Manuela, questo è il complimento più bello che mi abbiano mai fatto!” E probabilmente ci proverebbe con lei o con la prima collega che passerebbe accanto alla sua scrivania.
Questo appellativo scomparirà da solo, così come è nato, il giorno in cui i miei libri mi faranno guadagnare qualcosa e mi daranno almeno la possibilità di sopravvivere facendo la fame onestamente  e potrò soltanto scrivere, leggere, scrivere, leggere, scrivere, leggere, fare l’amore, leggere, scrivere…
Intervista di Manuela Gatta

Autore: gattamanuela

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4 Commenti

  1. A distanza di un anno, mi rendo conto dell’apporto che l’équipe di voltarepagina ha dato alla mia crescita personale, sia come artista sia come uomo.
    Come direbbe Rossignol, bisogna sempre ambire a diventare almeno una di queste due cose…

    Grazie di cuore!
    Vostro Frank

  2. A prescindere da come andrà a finire, vorrei invece rendere merito all’autore che con il suo romanzo ha contribuito per primo alla folle idea di poter creare una casa editrice senza fini di lucro…

  3. Kindo è un libro diverso dal solito. Frank Gallo è uno scrittore che vive solo per quello,se ne frega di tutto il resto,e si vede,si sente quando lo leggi.Gli altri suoi libri sono più “snelli”,ma Kindo mi ha fatto morire dal ridere!!! e mi ha fatto riflettere su temi di psicologia, arte e “follia”…
    Andrea

  4. Per chi fosse più interessato (ma non troppo) al nostro Frank, ecco il sito che abbiamo realizzato per lui: articoliliberi.com Una pagina in cui pubblichiamo articoli di cultura e letteratura nostri e di altri appassionati.
    Eleonora

    PS: Bella intervista!!!

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