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Le canzoni dell’aglio | Mo Yan

Mo Yan, Nobel per la Letteratura 2012, si è imposto al pubblico negli anni 80 con “Sorgo Rosso”, da cui è stata tratta la sceneggiatura dell’omonimo film di Zhang Yimou vincitore dell’ Orso d’Oro al festival di Berlino nel 1988.
SLe canzoni dell'aglioi è poi aggiudicato diversi premi di rilevanza internazionale grazie a numerosi racconti e romanzi, tra cui i più popolari restano “ Le sei reincarnazioni di Ximen Nao” e “Le rane”, romanzi della maturità.

Le canzoni dell’aglio” , pubblicato nel 1988, racconta la Cina popolare di quegli stessi anni e prende spunto dalla storica rivolta contadina del distretto di Cangshan.

La collocazione temporale è la Cina post-Mao, quando al potere si affaccia Deng Xiaoping, il Partito svela tutto il marcio covato dentro e la “Rivoluzione Culturale” diventa, per le frange corrotte della politica, il movente per ulteriori soprusi.

La storia si svolge nelle campagne di Tiantang , in cinese “Paradiso”, ed è davvero un paradiso considerata la natura rigogliosa descritta da Mo Yan.

L’ ambientazione è bucolica secondo le attese di un romanzo contadino. La magnificenza della natura contrasta però con la crudezza della condizione umana e allora “Paradiso” si rivela essere solo un cupo paradosso.

Gli scorci naturali sembrano quadri dalle pennellate minuziose, ferme, consapevoli di quanta poesia riescano a fermare sulla tela. La natura appare di una bellezza sfrontata e indifferente di fronte allo squallore dell’esistenza contadina.
Le vicende dei protagonisti, invischiati nella povertà e nell’ignoranza, tormentati dal sistema sociale, si svolgono nel pieno splendore di una natura impietosa, che spesso i protagonisti si fermano a contemplare per trarne momentaneo conforto.

La storia ha come fulcro l’aglio, la cui coltivazione caldeggiata e sponsorizzata dal Partito , ha spinto i contadini di Tiantang a concentrare la loro vita su un unico interesse. Complice una terra fertile e generosa, la produzione è ingente.

Se i primi anni si festeggia e si inneggia al Partito, in seguito sarà lo stesso Partito a venir meno alle proprie promesse.
Di fronte alla impossibilità di gestire il crollo economico legato alla miope pianificazione agricola, nonché all’essere divenuta, quella di Tiantang, una economia monocoltura, il Partito si pone in una posizione di rottura nei confronti dei contadini. Risponde al loro disagio con la tirannia e la corruzione.

Il romanzo è accompagnato dai canti del vecchio cieco Zhang Kou che intona le sue “canzoni dell’aglio” scandendo i tempi della narrazione in un crescendo emotivo che sfocia nella spinta all’insurrezione contadina.

Le storie portanti sono due, quella di Gao Yang e quella di Gao Ma, che si scontrano, ognuno a modo suo, con le nefandezze politiche e sociali.

Gao Yang è l’emblema del contadino di buon cuore ma vile, nato vittima del suo stesso vittimismo e per questo autocondannato ad esserlo per sempre. Nelle poche occasioni in cui mostra un moto di orgoglio, si richiude presto nel guscio di mediocrità in cui trova, con conforto, i motivi della sua disgraziata esistenza. 

È tutta colpa del destino, Sishu. È tutto scritto, il matrimonio, i soldi, non serve a niente rammaricarsi……Noi contadini non ci possiamo paragonare ai benestanti, è un confronto suicida, non si deve paragonare una cosa a un’altra migliore, altrimenti non resta che gettarla. Noi possiamo paragonarci soltanto ai mendicanti…..Bisogna accontentarsi di quello che si ha….bisogna avere forza di sopportazione….”

Il regime, “i fatti dell’aglio”, la sommossa contadina sono per Mo Yan molto di più di una denuncia storico-politica, è piuttosto una denuncia di tipo sociale, umano ed esistenziale. I soggetti non sono solo vittime del regime corrotto che si impone, distrugge e umilia. C’è molto di più!
I protagonisti sono vittime dell’ignoranza e della superstizione. Anche dove il partito ha attuato provvedimenti volti alla crescita e all’emancipazione, questi restano inapplicabili per i contadini.

La storia di Gao Ma e del suo amore per Jinju , contrastato da antiche tradizioni e ottuse convenzioni sociali, è la manifestazione di quanto la “Rivoluzione Culturale” non possa funzionare se viene calata dall’alto piuttosto che iniettata dalla base. Non c’è rivoluzione e cambiamento laddove non ci sia educazione delle masse.

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Non può esserci distruzione del “vecchio” quando ognuno nel sicuro delle proprie case applica ancora remote, aberranti e cieche tradizioni. Si possono fare mille leggi per promuovere lo sviluppo etico- sociale, ma se non si debella la fame e non si soddisfano i bisogni primari, non si può sperare nella “Rivoluzione Culturale” del popolo.

Ecco la grande metafora di Mo Yan

La vendita dell’aglio diventa un mezzo per soddisfare la fame, ma se il Partito non riesce a garantirlo, non potrà mai sperare che sia rispettata una semplice legge sul matrimonio o sul rispetto della donna. Se a questo si aggiungono la corruzione e i soprusi perpetrati dallo stesso Partito, allora viene meno ogni costruzione politico-sociale che abbia la pretesa del “bene comune” utilizzandolo invece come pretesto.

Il sentimento sollecitato dall’autore è spesso il disgusto. Eppure la vita contadina, quella povera, vissuta di espedienti, spesso è fatta di trivialità, corporalità, sudiciume, ben lontani dall’immaginario bucolico del lettore medio.

La scrittura di Mo Yan incede con tale veemenza su tanta rudezza che spesso si storce il naso e si percepisce il risalire di un leggero conato. L’autore insiste, quasi con sadismo, su talune descrizioni raccapriccianti e violente ma capaci di incatenare il lettore, tanto che, anche lì dove sventaglia l’orrore più acuto, non si può prescindere dalla poesia che lega il tutto.
Una poesia macabra e triste che poi esplode nella magnificenza delle celebrazioni della natura.

Lo stile di Mo Yan è diretto, scurrile quanto poetico, le sensazioni richiamate sono autentiche, senza sovrastrutture, senza filtri, tanto reali quanto disgustose. Non usa mezzi termini, ha l’intento di infastidire; eppure, quando lo desidera, riesce ad evocare atmosfere quasi oniriche di una tenerezza e delicatezza sorprendenti.

Si parla di odore e non di profumo della terra, perché il profumo rimanda a qualcosa di artefatto, costruito. Per tutta la lettura si è accompagnati dall’odore acuto e persistente dell’aglio, florido e rigoglioso nei campi assolati e marcito lungo le strade verso i magazzini del distretto. Solo il senso incantato dall’amore percepisce profumo di menta invece del puzzo di aglio.

L’amore di Jinju e la tenacia di Gao Ma commuovono laddove tutta l’opera narrativa intende essere sgradevole: è la loro storia a dare un senso lirico al romanzo. La nobiltà d’animo alberga anche nei poveri disgraziati, nel buio della loro ignoranza, costretti dagli stenti della povertà. È una sorta di professione di fede verso il genere umano.

Il rispetto di Gao Yang verso il cadavere della madre, la determinazione dei giovani amanti di andare contro le regole e combattere per ciò che ritengono loro di diritto, sono l’esaltazione dell’animo umano, di quella parte che manda avanti il mondo, malgrado la corrente avversa e malgrado gli inganni e le manipolazioni della sorte.

Non sono tanti i personaggi le cui storie si intrecciano a quelle di Gao Yang, Gao Ma e Jinju, ma ribadiscono il concetto centrale di abbandono e di assuefazione al degrado.

Si succedono di volta in volta vittime e carnefici, spesso giocando i due ruoli alternativamente, ma sicuramente ognuno proiettato verso la propria unica sopravvivenza, mettendo da parte con spiazzante naturalezza anche gli affetti familiari.

Il romanzo si conclude con vari comunicati stampa del Partito che, se da una parte fa una ammissione di colpa della cattiva gestione della situazione contadina, dall’altra ammonisce ogni forma di rivolta e di anarchia.

Ma la vera conclusione sono le ultime parole dell’autore che sembrano sussurrate all’orecchio, accompagnate da un ghigno ironico e una strizzatina d’ occhio.
Sembra assurdo come Mo Yan non sia stato censurato dal Partito, viste appunto le sue evidenti denunce, eppure è un fatto che sia considerato dalla stessa Cina l’autore moderno più rappresentativo della propria cultura.

Autore: Shalika Fiorentino

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