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“Dimmi che c’entra la felicità” | Margi De Filpo, Vincenzo Corraro

Dimmi felicitàDimmi che c’entra la felicità” è una piccola antologia di diciotto racconti divisi per due autori, nove firmati Margi De Filpo e altrettanti per Vincenzo Corraro. Una domanda curiosa che piomba a sorpresa quando nel fiume in piena della routine si sta per annegare, piuttosto che ricordare il ritratto semplice della felicità.

Un tesoretto creato da quattro mani che hanno intrecciato con piccoli nodi storie di vita che si accennano l’un l’altra, si richiamano nel loro disperato e perseverante tentativo di realizzazione. È lì che spesso ci si perde: mentre si lotta, si dimentica perché e per chi si sta combattendo. Ed ecco che in un attimo la felicità scivola via tra i titoli di coda.

La ricerca della felicità

Un padre e marito che ha dimenticato di esserlo, lavoratori precari con progetti di vita probabilmente utopistici, giovani laureati che assistono inermi alla ghigliottina dei loro sogni. Esseri umani che hanno impiegato del tempo, tanto, nel tentare di toccare la meta prefissata, di alzare gli occhi al cielo sorridenti per urlare con quella lacrima di orgoglio “ce l’ho fatta!. Accade ma non basta. E quando non è mai abbastanza l’obiettivo sfuma, si allontana, precipita in quella discarica di sogni perduti. E l’entusiasmo diventa evanescente: si guarda allo specchio ma non si riconosce più. Lo aveva detto Cesare Pavese: capiterà di “concentrare tutta la vita su un punto, e poi scoprire che tutto puoi fare tranne vivere quel punto”. Perché perdersi in questo labirinto di vicoli ciechi senza provare a reagire?

La felicità in fondo rimane sempre un concetto assai volubile. Spesso ti inchioda ad attese inconcepibili e a ricerche deprimenti. Può essere vuoto o pieno, è una carezza improvvisa, un treno che torna, un figlio che ti abbraccia. Ti eleva e ti atterra in un niente. Così in mezzo alla pienezza il valore per le piccole cose fa di te un virtuoso e può sconvolgerti la vita.

Non c’è abbastanza amore in giro

Questo racconto è il triste coronamento della scalata al potere di questo indolenzimento interiore: perché persino per amare servono delle istruzioni precise, come se un sentimento potesse essere progettato a tavolino. I protagonisti di questo racconto lo sanno molto bene: hanno smesso da tempo di credere alle favole. Del resto, si è scelto di sottovalutare il peso emotivo della sorpresa: si è schiavi del programmare, dello schedare necessariamente tutto quanto imbocchi il nostro stesso sentiero. E in questa nuova foresta di calcoli e algoritmi non c’è spazio per la felicità, che è figlia dell’inatteso per eccellenza, del colpo di scena, del mazzo di fiori profumati che trovi alla porta in una giornata di pioggia. Luigi pare averlo proprio dimenticato:

Ha smesso di amarsi e si è accorto che il male è naturale, è nelle cose, è dove verità e potere vanno a braccetto, dove brindano al futuro. Perché chi è contro è semplicemente uno che prima o poi rientra.

L’ultima chiamata

La stessa visione cruda guida lo sguardo frenato di Annina, che è un po’ tutti noi. La sua storia ha un retrogusto amaro sin dal titolo: “L’ultima chiamata al call center”. Margi De Filpo crea un racconto duro, intenso, a tratti cinico. È la testimonianza di tutti quei ragazzi che hanno scelto di avvolgersi nell’atmosfera “viziata e paramafiosa” dei dipartimenti di ricerca e rincorrono con ostinazione una passione, un’opportunità, un guizzo di carriera. Per farlo accettano qualsiasi situazione lavorativa iniziale: si accontentano perché è così che si fa, si ripetono che prima o poi il meglio arriverà. Tutta questa attesa, a lungo andare, avvilisce e spegne. E la storia di Anna è un forte scossone, ricorda quasi come una mamma che l’ansia con cui si guarda a quei futuri sfocati annichilisce letteralmente un presente ormai orfano. E ripresenta quella domanda per cui tutto è iniziato, la più importante e la più pericolosa: “Qual è l’ultimo sogno che ricordi di aver avuto?”.

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Dietro l’ultima curva del mare

Racconto dopo racconto riaffiorano piccole consapevolezze perdute. Le frasi sono incisive, le parole sempre molto evocative si colorano di immagini. L’immedesimazione è inevitabile: si legge attoniti come se la penna fosse stata guidata dai ricordi e dai vissuti di ognuno. Diciotto storie di vita che aprono al tema filosofico della felicità; lo fanno con la delicatezza delle esperienze comuni, con la naturalezza con cui si chiacchiera con uno sconosciuto su un tram. Sono storie amare e brucianti, un po’ malinconiche ma sempre speranzose: e il consiglio più grande arriva sul finale, perché se si è arrivati fin lì si è colto il vero messaggio dei due autori, lontano da ogni pessimismo. Il campionario del ‘sopravvivere’ abitudinario va abbandonato perché la felicità si nasconde dietro l’ultima curva prima del mare e non è vero che appartiene solo ai più fortunati: perdersi l’occasione di incontrarla, questo sì che sarebbe un vero peccato.

Autore: Manila Tortorella

Laureata in Lettere moderne e in Scienze Filosofiche a Padova. Ho da sempre avuto un debole per l'universo delle parole: scriverle, leggerle, ascoltarle. Il linguaggio è il nostro vestito quotidiano, imparare a coglierne le sfumature non è però così scontato.

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2 Commenti

  1. Ma come scrivi…….

  2. In che senso? 🙂

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