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“La nascita della tragedia” o di una nuova ermeneutica? Un breve saggio e la prima opera del filosofo Friedrich Nietzsche

La nascita della tragedia - Nietzsche

La nascita della tragedia – Nietzsche

F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia, Piccola Biblioteca Adelphi, 1977

Questa è la prima opera pubblicata dal filosofo che forse più di ogni altro continua ad animare il dibattito culturale odierno: un breve saggio estremamente denso di riflessioni e spunti che preannunciano già tutta l’evoluzione futura del pensiero di F. Nietzsche. Una pubblicazione sofferta, tuttavia, perché lui stesso sapeva che il mondo accademico avrebbe reagito con aspre critiche alla sua proposta di una nuova “scienza estetica”.

“Scienza estetica” è il suo nuovo modo di osservare i fenomeni e la vita, arte compresa; un modo razionale e intuitivo al tempo stesso, che va “oltre” la sola logica della ragione, lasciando spazio anche a quella percezione intuitiva che è capace di creare dall’emozione dell’istante sempre nuove “metafore” e nuove “rappresentazioni”. Esattamente come aveva saputo fare il mondo greco nella sua creazione più significativa: la tragedia. In essa Nietzsche scorge il gioco incessante dei due fratelli, Dioniso e Apollo, ora divenuti nemici, rappresentanti di due dimensioni insopprimibili dell’essere (dell’uomo): da un lato, l’immediatezza dell’impulso, con tutta la sua forza originaria, e, dall’altro, la capacità di tradurre quella forza in un’immagine, di darle un nome, arginarla e infine governarla. C. G. Jung, fondatore della psicologia analitica, che a Nietzsche è profondamente debitore, parlava di istinto e riflessione, intesa quest’ultima a sua volta come un istinto, ossia la capacità tipicamente umana di frenare l’impulso e deviarlo in una rappresentazione. Così nasceva secondo Nietzsche la tragedia, così nasce secondo Jung la vita psichica dell’uomo e la sua possibilità di coscienza.

Formulando la sua ipotesi sulla “nascita della tragedia dallo spirito della musica”, in realtà Nietzsche poneva già allora il problema fondamentale del soggetto, che avrà nell’übermensch (letteralmente oltreuomo) il suo esito finale.

Nietzsche, come Carl Gustav Jung, ha individuato nello squilibrio tra le due forze, nella disarmonia prodotta dalla tracotanza (hybris) del pensiero razionale astratto, lo “stato di malattia” che affliggeva il suo tempo, e che era iniziato con quell’illusione di onnipotenza che Nietzsche chiamava “socratismo”: l’aver perso il contatto con la forza creatrice originaria, aver dimenticato che ogni idea astratta è il “residuo di una metafora”, aver quindi perso la capacità di creare metafore. Potremmo dire con Jung che Nietzsche aveva chiaramente intuito che anche le funzioni superiori della nostra coscienza, quando sono sorrette e bloccate da un atteggiamento unilaterale, possono perdere vitalità e ridiventare inconsce come qualunque altro automatismo: questa è la morte della visione tragica dei Greci.

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Ecco allora, come un’apparizione, l’immagine di “Socrate musicista”, che Nietzsche propone come cura di quella malattia: una figura percorsa da ambiguità, ibrida, che non rinvia al soggetto riunificato e pacificato della dialettica classica, perché Nietzsche è gia “oltre” la dialettica; il suo soggetto è e rimane plurale, un crocevia di contraddizioni irrisolvibili, capace di rinunciare al regime di “verità” in cui si colloca l’idealismo socratico-platonico-cristiano per il quale, direbbe Galimberti, gli uomini non hanno mai veramente abitato il loro mondo,  definito di volta in volta dalle parole di verità, divenute “dure come sassi”, del mito, della religione e della filosofia. Non troviamo qui la nostalgia di un passato edenico, di un originario “stato di natura” di rousseauiana memoria, perché, chiarisce Vattimo in un saggio su Nietzsche, “non si dà alcuna attività metaforizzante che sia sottratta al gioco delle forze; […] sia le metafore, sia il soggetto che in esse si esprime, si costituiscono già-sempre in un gioco interpretativo complesso”. Socrate musicista, forse già oltreuomo, è dunque colui che non teme di riconoscere e accettare la pluralità costitutiva che lo contraddistingue e le “interpretazioni infinite” che il mondo racchiude in sé.

Autore: Luciana Riommi

psicoterapeuta per necessità, lettrice per piacere

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  1. Quote rosa alla riscossa - [...] innalza un coro da tragedia greca e le donne del MIG, pietose ma non dimentiche del sacro furore della…

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